Testimonianze raccolte sul campo
Era prassi che i Tedeschi, armi spianate, entrando nelle case die nostri contadini, chiedevano
"Il Lardo Rosso"
che altro non era che il prosciutto
Il passaggio del fronte non è
stata una esperienza positiva per tutta la popolazione italiana. In pratica la
popolazione si è trovata in prima linea ed ha visto con i propri occhi che cosa
fosse la guerra. Al
contrario della Prima Guerra Mondiale, quando vi era un fronte ben stabilito e
circoscritto a determinate regioni geografiche, e solo le popolazioni di quelle
regioni ne furono coinvolte (in pratica le popolazioni venete al momento della
ritirata di Caporetto) per il resto le zone d’operazioni ove si conduceva
quotidianamente la guerra, erano esclusiva pertinenza dei militari.
Durante la Seconda Guerra Mondiale ,
le popolazioni dell’Italia Centrale e Settentrionale furono coinvolte dal
“passaggio del fronte”. La durata di questo “passaggio” varia a seconda della
situazione operativa. Osimo fu coinvolto per circa 18 giorni, dall’inizio della
cosiddetta Prima battaglia per Ancona, 1-8 luglio, fino alla conclusione della
Liberazione di Ancona il 18 luglio successivo, così come tutti i paesi
dell’anconetano.
La popolazione toccò con mano che
cosa significasse. Ancora è viva nelle nostre campagne e nelle città questa
esperienza in coloro che la fecero negli anni della adolescenza, essendo ormai
scomparsi tutti coloro che avevano una età adulta. [1]
Nell’area del basso Musone,
attorno a Casenuove di Osimo, i ricordi ancora oggi sono vivi.
Armando Catozzo, classe 1930, di
Casenuove, aveva 14 anni al passaggio del fronte; ricorda che i Tedeschi erano
severi, dai toni buschi, molto autoritari. Chiedevano sempre da mangiare e da
bere; se lo si offriva, soprattutto il vino, prima facevano bere a chi lo
porgeva, poi bevevano loro.
Gino Benigni, classe 1934,
ricorda molto bene quei giorni del passaggio del fronte. Con tutta la sua famiglia
era rimasto nella casa colonica di famiglia. I Tedeschi stavano facendo, nelle
vicinanze, delle piazzole e postazioni e fortificavano tutta la zona; un
giorno, pochi giorni prima della battaglia del 17 luglio, di mattina, il padre
perentoriamente fu preso e portato poche centinaia di metri distante per
lavorare a questi apprestamenti. In famiglia, soprattutto la moglie, non
vedendolo tornare almeno per mangiare, entrarono subito in agitazione; si
sapeva che i Tedeschi rastrellavano gli uomini, e spesso li uccidevano dopo
averli fatti lavorare, oppure li inviavano in Germania. Furono ore di estrema
trepidazione, passate per lo più a pregare perché i Tedeschi lo rilasciassero;
dopo circa sette-otto ore, trascorse lavorando sodo, il padre ritornò a casa.
Un altro episodio gli è rimasto nella memoria.
Una ambulanza della sanità tedesca, sempre prima del 17 luglio, rimase in panne
al guado del Musone, vicino alla loro casa. Il marito della sorella della
madre, di nome Capitani, fu costretto con modi energici, a predisporre e
portare soccorso con un paio di buoi alla ambulanza ferma e cercare di portarla
fuori dal Musone. Giunto sul posto, nel corso delle predisposizioni per cercare
di soccorre questa ambulanza, fu colpito in pieno da una granata di artiglieria
ed ucciso. Il Corpo fu recuperato dai famigliari, e messo in una cassa di legno
improvvisata; senza particolari cerimonie, ma nel dolore di tutti, fu
seppellito vicino casa. Ma per il povero Capitani la guerra gli riservava
ancora qualcosa. Alcuni giorno dopo un carro armato polacco, passato il Musone,
non trovò altra strada che passare sopra la tomba di Capitani, facendone
scempio.
Anche durante la guerra i
contadini, come ricorda ancora Gino Benigni, dovevano continuare il loro
lavoro: membri della sua famiglia, mentre tagliavano il grano, furono avvertiti
da due Tedeschi che il ponte vicino al campo era stato minato e che a breve
sarebbe saltato in aria; si allontanassero, per evitare di essere investiti
dall’esplosione; poche ore dopo il ponte fu fatto saltare e non ci furono
vittime.
Non è il compito di questa opera
quello di approfondire il tema delle sofferenze della popolazione, ma un cenno
occorreva farlo, per la
Memoria. Accanto a tanti episodi degni di nota, anche altri
poco edificanti, in una umanità che non smentisce mai se stessa.
I Tedeschi erano alla costante
ricerca di cibo: quando entravano nelle case dei contadini e dei centri abitati
era la prima cosa che cercavano; poi passavo al sequestro di tutto quello che
loro serviva. Chiedevano anche braccia per lavorare, per le loro postazioni, e
non davano nessun compenso; molti, dopo aver lavorato sodo sotto la minaccia
delle armi, venivano lasciati liberi; parecchi furono fucilati sul posto, con
vari pretesti. Il passaggio del fronte è anche questo, aspetto che viene poco
ricordato e che ha procurato inenarrabili sofferenze e lutti. I Tedeschi
ambivano ad avere il “lardo rosso”, ovvero il “prosciutto” sempre presente
nelle case dei contadini dell’anconetano: per loro era una prelibatezza e lo chiedevano
insistentemente. Per molti testimoni, questa espressione non è altro che il
ricordo di tempi tristi e tragici, per noi segna un momento della nostra storia
locale.
[1] Testimonianze
raccolte domenica 25 giugno 2013 alla Cappellina di casa Cangini, Casenuove di
Osimo.
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