I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

lunedì 4 maggio 2015

La Liberazione di Osimo. IV. Il Tempo del Lardo Rosso

Testimonianze raccolte sul campo
 Era prassi che i Tedeschi, armi spianate, entrando nelle case die nostri contadini, chiedevano 
"Il Lardo Rosso"
 che altro non era che il prosciutto

Il passaggio del fronte non è stata una esperienza positiva per tutta la popolazione italiana. In pratica la popolazione si è trovata in prima linea ed ha visto con i propri occhi che cosa fosse la guerra. Al contrario della Prima Guerra Mondiale, quando vi era un fronte ben stabilito e circoscritto a determinate regioni geografiche, e solo le popolazioni di quelle regioni ne furono coinvolte (in pratica le popolazioni venete al momento della ritirata di Caporetto) per il resto le zone d’operazioni ove si conduceva quotidianamente la guerra, erano esclusiva pertinenza dei militari.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, le popolazioni dell’Italia Centrale e Settentrionale furono coinvolte dal “passaggio del fronte”. La durata di questo “passaggio” varia a seconda della situazione operativa. Osimo fu coinvolto per circa 18 giorni, dall’inizio della cosiddetta Prima battaglia per Ancona, 1-8 luglio, fino alla conclusione della Liberazione di Ancona il 18 luglio successivo, così come tutti i paesi dell’anconetano.
La popolazione toccò con mano che cosa significasse. Ancora è viva nelle nostre campagne e nelle città questa esperienza in coloro che la fecero negli anni della adolescenza, essendo ormai scomparsi tutti coloro che avevano una età adulta. [1]
Nell’area del basso Musone, attorno a Casenuove di Osimo, i ricordi ancora oggi sono vivi.

Armando Catozzo, classe 1930, di Casenuove, aveva 14 anni al passaggio del fronte; ricorda che i Tedeschi erano severi, dai toni buschi, molto autoritari. Chiedevano sempre da mangiare e da bere; se lo si offriva, soprattutto il vino, prima facevano bere a chi lo porgeva, poi bevevano loro.

Gino Benigni, classe 1934, ricorda molto bene quei giorni del passaggio del fronte. Con tutta la sua famiglia era rimasto nella casa colonica di famiglia. I Tedeschi stavano facendo, nelle vicinanze, delle piazzole e postazioni e fortificavano tutta la zona; un giorno, pochi giorni prima della battaglia del 17 luglio, di mattina, il padre perentoriamente fu preso e portato poche centinaia di metri distante per lavorare a questi apprestamenti. In famiglia, soprattutto la moglie, non vedendolo tornare almeno per mangiare, entrarono subito in agitazione; si sapeva che i Tedeschi rastrellavano gli uomini, e spesso li uccidevano dopo averli fatti lavorare, oppure li inviavano in Germania. Furono ore di estrema trepidazione, passate per lo più a pregare perché i Tedeschi lo rilasciassero; dopo circa sette-otto ore, trascorse lavorando sodo, il padre ritornò a casa.

 Un altro episodio gli è rimasto nella memoria. Una ambulanza della sanità tedesca, sempre prima del 17 luglio, rimase in panne al guado del Musone, vicino alla loro casa. Il marito della sorella della madre, di nome Capitani, fu costretto con modi energici, a predisporre e portare soccorso con un paio di buoi alla ambulanza ferma e cercare di portarla fuori dal Musone. Giunto sul posto, nel corso delle predisposizioni per cercare di soccorre questa ambulanza, fu colpito in pieno da una granata di artiglieria ed ucciso. Il Corpo fu recuperato dai famigliari, e messo in una cassa di legno improvvisata; senza particolari cerimonie, ma nel dolore di tutti, fu seppellito vicino casa. Ma per il povero Capitani la guerra gli riservava ancora qualcosa. Alcuni giorno dopo un carro armato polacco, passato il Musone, non trovò altra strada che passare sopra la tomba di Capitani, facendone scempio.

Anche durante la guerra i contadini, come ricorda ancora Gino Benigni, dovevano continuare il loro lavoro: membri della sua famiglia, mentre tagliavano il grano, furono avvertiti da due Tedeschi che il ponte vicino al campo era stato minato e che a breve sarebbe saltato in aria; si allontanassero, per evitare di essere investiti dall’esplosione; poche ore dopo il ponte fu fatto saltare e non ci furono vittime.

Non è il compito di questa opera quello di approfondire il tema delle sofferenze della popolazione, ma un cenno occorreva farlo, per la Memoria. Accanto a tanti episodi degni di nota, anche altri poco edificanti, in una umanità che non smentisce mai se stessa.
I Tedeschi erano alla costante ricerca di cibo: quando entravano nelle case dei contadini e dei centri abitati era la prima cosa che cercavano; poi passavo al sequestro di tutto quello che loro serviva. Chiedevano anche braccia per lavorare, per le loro postazioni, e non davano nessun compenso; molti, dopo aver lavorato sodo sotto la minaccia delle armi, venivano lasciati liberi; parecchi furono fucilati sul posto, con vari pretesti. Il passaggio del fronte è anche questo, aspetto che viene poco ricordato e che ha procurato inenarrabili sofferenze e lutti. I Tedeschi ambivano ad avere il “lardo rosso”, ovvero il “prosciutto” sempre presente nelle case dei contadini dell’anconetano: per loro era una prelibatezza e lo chiedevano insistentemente. Per molti testimoni, questa espressione non è altro che il ricordo di tempi tristi e tragici, per noi segna un momento della nostra storia locale.






[1] Testimonianze raccolte domenica 25 giugno 2013 alla Cappellina di casa Cangini, Casenuove di Osimo.

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