I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

mercoledì 24 aprile 2019

La conquista di Ancona Luglio 1944 I tedeschi


     
Le forze germaniche
i
La situazione strategica delle forze tedesche sul fronte adriatico nel luglio 1944 è la diretta conseguenza delle scelte effettuate dallo Stato Maggiore Tedesco (OberKommando der Wermacht o OKW) all’indomani della previsione, che poi si è realizzata, dell’uscita dell’Italia dalla guerra. A seguito degli eventi del 25 luglio, ovvero la caduta del fascismo in Italia, e il successivo armistizio proclamato l’’8 settembre, OKW era deciso a propendere per l’occupazione del suolo italiano ed organizzarvi una resistenza ad oltranza, opinione peraltro condivisa anche dal feldmaresciallo Albert Kesserling, il quale era convinto di poter efficacemente contrastare gli Alleati  sfruttando l’orografia del territorio italiano. Si innescò, al riguardo, una aspra controversia, tra i feldmarescialli Kesserling e Rommel circa la tattica migliore da applicare al teatro di guerra italiano. Secondo il parere di Rommel l’Italia avrebbe dovuto essere difesa sugli Appennini settentrionali, tramite la predisposizione di un imponente e fortificata linea difensiva,mentre per Kesserling si sarebbe dovuto resistere ad oltranza ovunque fosse stato possibile.
L’OKW fu propenso ad appoggiare la seconda opzione. Questa scelta era ampiamente sostenuta da ragioni molto valide: la prima, di carattere economico, in quanto le industrie dell’Italia settentrionale erano necessarie al reich per sostenere lo sforzo bellico in atto; la seconda era di carattere militare, con l’obiettivo di affrontare il nemico il più lontano possibile dalla madre patria impegnando con un numero relativamente modesto di forze tedesche  un numero consistente di forze alleate. Infine, dando rilievo anche alla sfera diplomatica e politica, si voleva evitare una pericolosa perdita di prestigio per la Germania nei confronti dei suoi sempre più scettici alleati (ungheresi, romeni, bulgari e i vari “quisling” creati nell’orbita tedesca).
In questa ottica furono predisposte, a partire da sud, una serie di linee difensive fortificate che avrebbero consentito alle unità in ritirata di arrestare temporaneamente l’avanzata degli Alleati ed allo stesso tempo di fare arretrare verso nord il maggior numero di unità tedesche.
La prima di queste linee era la Bernhard, dal Garigliano sino a Fossacesia, in Abruzzo. La seconda era la Gustav che passava per Cassino, mentre più a settentrione già si lavorava alla realizzazione della linea gotica, a protezione della valle del Po con i suoi indispensabili prodotti agricoli e l’ancor più prezioso triangolo industriale. Infine l’ultima resistenza era destinata ad essere portata sulla cosiddetta linea veneta, il cui apprestamento era iniziato nel luglio 1944, e che correva dal Lago di Garda lungo il corso dell’Adige fino all’Adriatico.

La tattica attuata dall’ Oberbefehlshaber Suewest (Comando Supremo delle Forze Tedesche del sud-ovest) alle operazioni in Italia, soprattutto dopo le lezioni apprese dai falliti tentativi di rigettare a mare gli Alleati a Salerno ( 18 settembre 1943) ed Anzio (Febbraio 1944), fu forzatamente quella di una difesa flessibile su diverse linee di arresto temporaneo, tesa a guadagnare tempo prezioso ed a logorar el’avversario con il minimo dispendio di forze.
La capacità di Kesserling di frenare di Alleati e di agire con locali reazioni dinamiche permise di tenere il fronte a sud di Napoli fino a tutto il settembre 1943, per poi ritirarsi lentamente. Per Kesserling iniziò quella “manovra in ritirata” che sarà il suo capolavoro e che terrà gli Alleati lontano dalla pianura padana fino all’aprile 1945.[1]
Appare doveroso rimarcare che le condizioni in cui versavano i soldati tedeschi in Italia erano rese molto difficili dalla cronica mancanza di riserve d’armata e dalla scarsa mobilità delle loro divisioni, soprattutto quelle di fanteria, a causa della progressiva carenza di carburanti e di automezzi, prodotta sia dai bombardamenti alleati che dalle azioni di sabotaggio delle formazioni della resistenza.[2]
No notare, infine, l’assoluto dominio dell’aria da parte alleata. La cifra media degli aerei della Luftwaffe e dell’Aeronautica Nazionale repubblicana della Repubblica Sociale Italiana nell’estate dl 1944 era di 78 aerei tedeschi, di cui 54 pronti al combattimento, e 56 velivoli italiani, di cui 34 operativi, contro i circa 3600 aerei alleati.

Le dottrine operative tedesche erano imperniate sul principio dell’Auftragstatik, che si potrebbe tradurre “tattiche di missione”[3], che consisteva, in sostanza, in un sistema di comando discrezionale condotto per obiettivi invece che per ordini dettagliati. L’Auftragstatik, quindi, consisteva nel decentramento esecutivo del comando ed i comandanti in sottordine, fino ai minimi livelli operativi godevano della massima libertà di portare a termine la missione per la quale venivano fissate solo l’entità delle forze ed il tempo necessario. Presupposto di base era il culto dell’iniziativa e l’abitudine a prendere scelte individuali. Di conseguenza gli ordini contenevano tutto ciò che l’inferiore non poteva decidere da solo per raggiungere obiettivo fissato, ma non più di questo. Nell’esercito tedesco vi era una lunga tradizione di tale stile di comando, risalente alla elaborazione dottrinale postnapoleonica della scuola di guerra di Postdam, e tutti i comandanti erano addestrati a tale metodologia operativa che prevedeva la ricerca dello “Schwerpunkie”, o centro di gravità o punto debole del nemico, dove applicare le proprie concentrazioni di forze.





[1] Coltrinari M., Quando fini la Seconda Guerra Mondiale?, post in htpp//www.secondorisorigmento,it/rivista/dibattitofiewar.htm  
[2] Non si finisce mai di ribadire che il comportamento delle truppe verso la popolazione civile deve essere improntato alla massima correttezza, disciplina e rispetto, se non si vuole innescare movimenti di ribellione, disistima e resistenza. A questo riguardo, si noti che le forze Armate Italiane della Repubblica in tutti i  principali teatri in cui sono state impegnate in operazioni anche di peace renforcement  hanno subito atti di sabotaggio, attentati con relative vittime, spesso senza altro scopo che provocare danni e tragedie. Mai si sono svolte azioni di rappresaglia indiscriminata sulla popolazione civile. E questo dovrebbe essere tenuto conto quando si analizza il comportamento delle truppe tedesche in Italia dal 1943 al 1945.
[3] In termini di dottrina attuale  si può tradurre come “Mission Command”

giovedì 18 aprile 2019

I Polacchi e le Marche. Uno studio



 “UN ESERCITO SCOMODO. IL 2° CORPO D’ARMATA POLACCO IN ITALIA 1944-1946”

Università di Bologna: Corso di laurea in storia- indirizzo contemporaneo. A.A. 1998-1999.Tesi di laurea in storia dell’Europa contemporanea. Relatori Prof. Pietro Albonetti e Dott. Carla Tonini.
Terzo correlatore, per la lode, Prof. Francesco Benvenuti.

Gianpieero PaNziera




Breve sintesi del lavoro


Introduzione.
Nell’introduzione si presentano le motivazioni e le curiosità che hanno favorito una ricerca sull’esercito polacco in Italia, prendendo spunto dalla vulgata storica e letteraria che ha semplificato l’idea di “alleato” sotto la veste di Americano o Inglese.
Nella mia ricerca volevo conoscere e approfondire le relazioni tra soldati polacchi e popolazione italiana, soprattutto nei confronti dei partigiani socialisti e comunisti. I polacchi venivano, infatti, dai gulag sovietici, e rappresentavano, secondo me, un caso unico di “Resistenza Assoluta”, proprio perché si opponevano sia ai nazifascisti sia ai comunisti.
Il mio punto di partenza è stata la pubblicistica presente in Italia e all’estero, che si concentrava, però, quasi unicamente sulle imprese militari dei polacchi, ed espressa, sovente, con giudizi apologetici.
Solamente nei lavori di due storici, uno di parte polacca il Prof. Casimiro Lewanski, ex soldato e poi prof. universitario in Italia, l’altro Nazario Sauro Onofri, ex partigiano e storico bolognese avevo raccolto qualche informazione e indizio più utili e circostanziati.
Tuttavia, sapevo che si trattava di un lavoro mai affrontato prima e per questo cercai e trovai materiale, in gran parte fotocopiato e in mio possesso, presso i principali archivi storici romani e polacchi (ACS-ASME- Archivio Storico Ufficio Stato Maggiore).
Avevo individuato la pista giusta.
Presso l’Archivio Centrale di Stato ho trovato la prova dei numerosi incidenti politici tra polacchi e popolazione italiana.
Inoltre, con grande sorpresa, presso l’Archivio Storico degli Affari Esteri ho scoperto che la presenza dell’esercito polacco creò non poche difficoltà alla nostra diplomazia e persino a De Gasperi, in qualità di Ministro degli Esteri e successivamente Presidente del Consiglio, nei rapporti con Russia, Polonia nonché con i partiti comunista e socialista italiani.
La storia di questo “scomodo esercito” poteva cominciare.

Primo Capitolo
In questo capitolo si ricostruiscono le tappe che portano alla Seconda Guerra Mondiale e all’invasione tedesca e sovietica della Polonia, nel settembre 1939. L’analisi si concentra soprattutto sull’occupazione sovietica della Polonia orientale e le relative deportazioni in Siberia.
Il capitolo racconta della nascita del Governo polacco in Esilio a Londra e della formazione dell’esercito polacco in URSS e il suo periglioso cammino attraverso l’Iran, Iraq, la Palestina, fino allo sbarco in Italia nel 1942-1943.
Non vengono tralasciati riferimenti al massacro di Katyn e al ruolo dei principali personaggi polacchi e russi dell’epoca: Sikorski, Anders, Stalin, Beria.
Si fa riferimento anche a Gustaw Herling Grudzinski e al suo libro “Un mondo a parte”, testo fondamentale per capire i gulag sovietici.

Secondo Capitolo
In questo capitolo si affronta la campagna militare polacca in Italia, al seguito dell’VIII armata britannica, lungo la fascia adriatica, attraverso lo sfondamento prima della linea Gustav e poi di quella Gotica.
I polacchi del gen. Anders si distinsero per la conquista di Montecassino, che apriva la strada per Roma e poi per la liberazione di Ancona e di Bologna, ma furono innumerevoli le loro imprese militari, dalle Marche alla Romagna.
Soprattutto per quanto riguarda la liberazione di Bologna, il 21 aprile 1945, non mancarono nel tempo le incomprensioni reciproche fra ex partigiani bolognesi e reduci polacchi. Basti ricordare la “dimenticanza” del sindaco Imbeni, che non invitò i veterani polacchi alle celebrazioni della liberazione del 1985.

Terzo Capitolo
Questo è il capitolo che ricostruisce i rapporti tra polacchi e popolazione civile, attraverso materiale d’archivio inedito (Rapporti di polizia, relazioni di questori, prefetti, statistiche del Ministero della guerra e dell’Interno, articoli di stampa, ecc).
Ne esce un quadro di contrasti politici e ideologici frequenti e diffusi, dalla Puglia, alle Marche, fino alla Romagna. Ovunque, i polacchi hanno lasciato traccia, tra il 1944 e il 1946, non solo di eroismo ma anche di conflitti con i partigiani italiani, inneggianti a Stalin e alla Russia.
Risse, pestaggi, attacchi alle sezioni politiche, bombe nelle case del popolo, ma anche ritorsioni e vendette italiane. I soldati polacchi, ad esempio, per il giornale comunista “Unità” erano “fascisti”.
Questo è un capitolo “inverosimile” in Polonia, che vede in quei soldati degli eroi, soprattutto da quando negli anni ‘90 sono stati riscoperti dalla storiografia nazionale.

Quarto Capitolo
Personalmente considero questo il capitolo più affascinante, che meriterebbe ulteriori ricerche, anche fuori dell’Italia. I soldati polacchi non furono, infatti, solo un problema di ordine pubblico nazionale ma anche e soprattutto una questione politico-diplomatica per il governo italiano.
Al termine della guerra, Varsavia entra nell’orbita degli Stati satelliti di Mosca, ma i soldati di Anders non si riconoscono in questa “nuova” Polonia bensì nel Governo polacco in esilio a Londra.
L’Italia, inizialmente, asseconda i polacchi “liberatori” ma dal luglio del 1945 riconosce il Governo di Varsavia e da quel momento in poi inizia una politica del doppio binario, che mira a liberarsi della scomoda presenza polacca anticomunista in Italia.
Lo stesso De Gasperi è insofferente, anche perché ha scelto di tutelarsi nei rapporti con Varsavia, Mosca e gli alleati di governo comunisti e socialisti.
Come i precedenti, questo capitolo si basa su documenti d’archivio inediti, in primo luogo telegrammi, anche segreti, tra gli ambasciatori Reale a Varsavia e Quaroni a Mosca e il Ministro degli Esteri De Gasperi.
In queste missive, come in quelle delle diplomazie russe e polacche, non mancano le pressioni sull’Italia per allontanare e liberarsi quanto prima di tutti i soldati polacchi, anche per non pregiudicare rapporti economici e il rientro di soldati italiani, prigionieri in Polonia e Russia.
Nell’ottobre del 1946 Anders e i suoi abbandoneranno l’Italia senza alcuna cerimonia ufficiale da parte italiana. Dei 110 mila polacchi presenti in Italia solo alcune migliaia resteranno per studiare o perché sposati con italiane.

Conclusione
La conclusione di questo lavoro si richiama agli obiettivi iniziali della ricerca, mettendo l’accento sul sacrificio polacco operato in Italia e sui possibili ulteriori approfondimenti delle loro vicende in Italia e all’estero, dopo il 1946.
Liberatori sì ma non liberati, anzi costretti a migrare in Francia, Inghilterra, Canada, Stati Uniti, pur di non rientrare nella Polonia filosovietica.
Dimenticati nel tempo, come la verità su Katyn, queste donne e uomini, protagonisti della deportazione, della guerra e dell’esilio, furono i primi veri interpreti di una “Resistenza Assoluta” a ogni forma di ideologia totalitaria, che ha contraddistinto il Novecento.
In sintesi, degli eroi romantici simili ai loro predecessori attivi in Italia nell’Ottocento: Dabrowski, Grabinski, Mickiewicz.

giovedì 11 aprile 2019

Spionaggio Nella seconda guerra mondiale


Pubblicato su Marche 44 in data 6 settembre 44

DIVERGENZE E COINCIDENZE TRA INGLESI ED AMERICANI 
NELLA LORO COMUNE AZIONE ITALIANA DI SPIONAGGIO 
DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE


1.     Premessa

     Emergono vari fattori che, durante il secondo conflitto bellico, facevano supporre che i rapporti degli americani con gli italiani sarebbero stati meno ardui che con gli inglesi. Gli scontri diretti delle truppe americane con le forze italiane erano stati in numero minore che con gli altri Alleati, non c’era negli Stati Uniti l’acceso risentimento provato in Inghilterra per l’entrata in guerra dell’Italia, la “America” era vista come una nazione ricca dove vivevano molti dei nostri emigranti. L’impero britannico, invece, appariva geloso dei suoi interessi, attento agli equilibri di potere internazionale, legato ai vecchi metodi della tradizionale diplomazia europea. L’esercito inglese era un tipico grande esercito europeo che l’industrialismo aveva modificato e modernizzato, ma il costume e lo spirito erano antichi. Rispecchiavano una classe dirigente –l’Inghilterra e l’Impero- di estrazione aristocratica e di grande borghesia liberale. Il senso impalpabile ma realissimo delle gerarchie sociali informava in particolare le relazioni tra gli ufficiali, per non parlare dei rapporti con gli italiani.

     I soldati americani, invece, rimanevano sempre dei cittadini che il governo aveva chiamato sotto le armi. Gli ideali democratici stimolavano in qualche modo la V Armata americana e consentiva a “questi cittadini in armi” un contatto diretto di nuovo stampo con le popolazioni liberate. A torto o a ragione, l’Inghilterra era poco popolare presso le due nazioni latine, Francia e Italia, tanto che si era arrivato ad ipotizzare, in occasione dello sbarco in Nord-Africa governato dal regime di Petain, di vestire le truppe britanniche con divise americane[1].

    La convinzione degli americani di sbarcare in Europa come liberatori dei popoli trascinati alla rovina dal fascismo era diffusissima. Saranno ancora una volta ingenuità e semplicismi mentali. Ma facevano tabula rasa di tanti storici odi e rancori del Vecchio Mondo, delle onte e tradimenti patiti e delle vendette e rivendicazioni da imporre. Il nemico erano fascismo e nazismo, bisognava finire di distruggerli e poi tornare a casa. Questa era ovviamente ideologia spicciola, ma radicatissima, quindi, importante. Determinava un’attitudine morale e pratica di fondo: accettare l’italiano che voleva dar loro una mano nel compito della liberazione, dargli i mezzi e lo spazio morale e politico perché operasse al meglio in questa direzione.


2.     L’ingresso dei servizi segreti americani nel conflitto

    Agli inizi del conflitto, la struttura dell’OSS (Office of Strategic Services – Ufficio dei Servizi Strategici – servizio segreto americano poi sostituito dall'attuale CIA) era appena abbozzata, e nonostante la collaborazione dei partigiani francesi ed italiani, non è stato sempre possibile disporre di gruppi attivi e preparati per contrastare il nemico e ridimensionare gli inglesi; questi ultimi continuavano a considerare gli americani con sufficienza, denunciandone errori ed impreparazione. Quest’atteggiamento lo si può ricavare da un parere di John Bruce Lockheart, un veterano del servizio segreto inglese:

“Gli americani passarono dall’isolamento al possesso del potere mondiale in due o tre anni. Essi non avevano politica estera né servizi segreti. Quando si sono sommersi nella realtà degli affari mondiali la loro innocenza e la loro ingenuità erano pressoché totali. Il contributo dell’OSS durante la guerra  (con la sola possibile eccezione di Allen W. Dulles in Svizzera) fu molto piccolo. Questa era la situazione alla fine della guerra”[2]

    A ragione di tale situazione, W. J. Donovan, fondatore del COI (Coordinator of Information – Coordinatore dell’Informazione) ed in seguito dell’OSS, riuscì a stabilire contatti molto proficui con i servizi inglesi; ne studiò l’organizzazione e ne assicurò la collaborazione[3]. Emissario de Roosevelt a Londra, vigilò per neutralizzare l’impatto che i rapporti di J. P. Kennedy (ambasciatore americano in Inghilterra) avrebbero potuto avere sulla Casa Bianca. Critico del sistema economico britannico, il Kennedy tentava di dissuadere Roosevelt dal prendere posizione a favore degli inglesi, ritenendoli incapaci di competere o resistere con la potenza germanica[4].

     Allo scoppio della guerra gli americani dipendevano dagli inglesi per il controspionaggio, un dato che se non giustifica, almeno spiega la confusione e l’impreparazione di coloro che furono incaricati di mantenere i contatti con i gruppi della Resistenza[5]. Agli italiani impegnati nei partiti e nelle organizzazioni confluiti in essa, risultavano lampanti le divergenze anglo-americane: “i servizi inglesi politicamente e militarmente avevano come punto di riferimento Brindisi e il governo Badoglio, ciò vuol dire che, in termini politico-militari, per il SOE – Special Operations Executive – Direttivo delle Operazioni Speciali – servizio segreto britannico, in Italia era essenziale la continuità dell’assetto politico e militare tradizionale, la sua conservazione e, attraverso esso, la conservazione tout court dell’assetto sociale; mentre l’OSS guardava a Capri e quindi Napoli, ossia gli antifascisti oppositori se non della monarchi, almeno di Re Vittorio Emanuele[6]. Donovan correva così il rischio calcolato di “grane” con gli inglesi, con l’AFHQ di Algeri e con il governo di Brindisi, ma i fini della lotta militare della campagna d’Italia erano prevalenti. Si trattava di una scelta non gravida di conseguenze. Un punto essenziale ai suoi occhi era di non trascurare la necessità di incanalare la volontà e le capacità di elementi di forze “civili” italiane decise a combattere il comune nemico, accertandone ed inquadrandone lo spirito volontaristico entro limiti ben definiti.

     Le forze della Resistenza in Europa ritenevano che gli ufficiali americani con cui erano in contatto fossero rappresentanti del governo di Washington, non sapendo che le loro parole e promesse non avevano alcuna importanza per i diplomatici del Dipartimento di Stato, questi senza esperienza diretta degli orientamenti partigiani e dei partiti nei paesi liberati o da liberare. Del resto, questa diversa, a volte contrastante valutazione, si verificò perché, al contrario di Londra e Mosca, Washington non richiedeva ai propri agenti di seguire la linea ufficiale di governo. Molti, anche nell’OSS, notando l’accresciuta credibilità dell’URSS in Europa, sperarono di fare della collaborazione realizzata nel 1943-44 sul campo la base per un’intesa in tempo di pace. Su questo presupposto hanno redatto rapporti e costituito legami con le forze partigiane, mentre la più stretta collaborazione e le intese tra i vertici americani dell’OSS e i servizi segreti britannici –apprezzate da Eisenhower[7]- non venivano condivise, come spesso si dovette registrare in Italia, dai responsabili subalterni e dalle sezioni che operavano nel teatro di guerra[8].


3.     Il SOE e l’OSS: una cooperazione difficile in Italia

      Nell’operato degli organismi speciali nella penisola si trovano punti di spartizione delle loro funzioni. In particolare le attività dell’OSS vennero nel 1944 concentrate in:
1.               Lombardia ed Emilia (terreno non adatto alle attività del SOE;
2.               Gruppi di “coup de main” (colpi di mano) sulla costa, operanti dalla Corsica o da Napoli. Si pensa anche che tale organismo americano abbia avuto contatti e piani sulle Alpi Marittime[9].

       In questa sua zona di pertinenza l’OSS entrò presto “in contatto con 23 gruppi della Resistenza in Italia[10]” mentre la collaborazione e gli aiuti alle poche milizie partigiani rifugiati per lo più in montagna nell’inverno 1943-44[11], “iniziò poco dopo il suo spontaneo sorgere nel settembre 1943. Le cose non riuscirono subito per il verso giusto tanto che inizialmente apparve evidente “il fallimento da parte degli Alleati, di creare un servizio di informazioni unificato con lo scopo di controllare e di sfruttare il potenziale militare del movimento (della Resistenza)[12]”.
    
    Il Gen. Mac Farlane, capo della missione militare alleata in Italia e poi nella ACC (Allied Control Commission – Commissione Alleata di Controllo), dal canto suo, riteneva indispensabile una rigorosa e precisa tattica se si voleva ottenere collaborazione e vantaggi dagli italiani. Egli suggeriva: “le due cose che si possono fare qui … sono:
I.il SOE sia l’equivalente dell’OSS;
II.il PWE (Political Welfare Executive – Direttivo della Guerra Politica - britannico) sia l’equivalente dell’OWI (Office of War Information – Ufficio delle Informazioni Belliche – americano).
Esistono per entrambi enormi possibilità ed un campo fruttifero”[13]
       
       L’OSS poi praticamente equivalse al SOE, mentre tra il PWE e l’OWI ci furono alcuni contrasti anche sulle questioni di fondo, soprattutto il contrasto di interessi tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna per il dominio in Italia[14]. Era evidente che, almeno nella fase iniziale, gli inglesi avevano dimostrato di possedere “idee quasi certamente più radicate degli americani sulla strategia militare e politica del teatro italiano”[15] e di voler “assicurarsi che nell’Italia post-bellica gli USA non siano considerati come gli amici (discorso di Berle, Vice Segretario di Stato) che hanno salvato il paese dal fascismo mentre noi (i britannici) dovremmo come minimo tenere il passo, se siamo incapaci di menare la danza con gli USA nel loro approccio con gli elementi resistenti”[16].

     Si veda a questo proposito anche quanto affermato dal direttore del PID Italia (Political Intelligence Department – Servizio del Ministero degli Esteri britannico per le Informazioni Politiche), Guy Cunnard al Magg. Fraser in una lettera del 24 maggio 1944: “Rapporti ricevuti dal SOE (tramite Berna) fanno presente che una maggiore dimostrazione di interesse da parte britannica (i.e. la BBC) nei confronti dei movimenti partigiani e della Resistenza è necessaria per controbattere l’impressione che soltanto i russi e gli americani abbiano una reale e pratica simpatia per i movimenti”[17].
    
      Tra i tentativi britannici per fermare le mire americane nel Mediterraneo è interessante parlare della vicenda che riguarda la Sicilia. In un’intervista pubblicata sull’Ora di Palermo (15 e 16 marzo 1966) all’On Antonio Varvaro ed a Nino Castrogiovanni, ex componenti tra i più autorevoli del Movimento Separatista Siciliano, riferiscono che “quel movimento spurio (questo movimento separatista tendeva a non escludere un’annessione agli Stati Uniti dando così vita ad una sorta del mito della 49° stella) era stato promosso dai servizi inglesi per creare il presupposto onde accusare il governo USA di mire egemoniche. Ne seguì un artificioso incidente diplomatico tra i due governi alleati a seguito del quale gli americani furono costretti, onde allontanare qualsiasi sospetto, a manifestare ostilità contro il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, lasciando mano libera alla politica italiana che in quel momento iniziò la persecuzione contro l’organizzazione indipendentista”.
       
        Tale situazione viene confermato da quanto apparve sulla rivista statunitense Life del 12 giugno 1944: “non ufficiale ma (è) insistente la voce che l’Ammiraglio britannico stia facendo pressioni, sotto il travestimento del separatismo siciliano per mantenere in qualche forma il controllo sopra la Sicilia”. Ancora un’altra conferma la fornisce un articolo del Times del 15 luglio 1944: “quando si chiede ai separatisti quale posto essi si aspettino che possa prendere una Sicilia indipendente nell’Europa dell’avvenire, essi rispondono candidamente che sarebbero lieti di accettare la protezione britannica”[18].
         
     A questo punto può forse essere utile proporre come metro di paragone e di valutazione quanto al contempo avveniva nel settore operativo prettamente amministrativo-militare, vale a dire la divisione di funzioni tra inglesi e americani all’interno dell’ACC (Allied Administration Comitee)[19]. Di fatto, anche se la rappresentanza americana nell’amministrazione de territorio italiano sotto l’occupazione alleata fu pressappoco equivalente in numero a quella inglese, gli organi direttivi furono fin dall’inizio detenuti dai britannici –nel governatore militare, gen. Alexander e nel suo vice maggiore generale lord Rennel. Ad essi si aggiunse H. Mac Millan (già ministro residente del governo britannico ad Algeri) che mantenne l’incarico di consigliere politico del suo governo, superando l’opposizione americana ad incarichi civili[20].

    Quando fu istituita l’ACC gli inglesi si attribuirono la creazione delle due sezioni più importanti, rispettivamente quella politica e quella economica[21]; quest’ultima sarebbe passata nel gennaio seguente agli americani che si servirono, però, di questa come delle altre cariche di prestigio nella Commissione per obiettivi di politica interna. Infine, mentre gli esponenti americani si mostrarono molto spesso impreparati ed incompetenti, gli inglesi seguirono una linea politica ben precisa e dominarono di fatto la politica alleata in Italia. La preminenza inglese finì per imporsi.

      Possiamo cominciare l’esame della struttura dell’OSS in Italia con la sezione R & A (Research and Analisis – Ricerca ed Analisi), con a capo H. Stuart Hughes (1916-1999), diventato poi il noto storico di Harvard, la quale cominciò a preparare piani di intervento che Earl Brennan, designato dal Direttore Generale William Donovan come responsabile del teatro italiano, doveva realizzare. Brennan, cresciuto in Italia e poi divenuto funzionario dell’Ambasciata americana in Roma, iniziò a reclutare italo-americani tra i quali Max Corvo, Vincent Scamporino e Victor Anfuso, inviandoli al centro alleato di Algeri da cui doveva partire il programma operativo delle azioni verso la Sicilia (sbarco alleato nell’isola deciso nella Conferenza di Casablanca –gennaio 1943- e in quella del “Tridente” di Washington –maggio 1943, così come auspicava la forte componente italo-americana interna all’OSS e buona parte della comunità italiana negli Stati Uniti)[22].
       
       Fin dal 1943, infatti un altro potente alleato dell’OSS fu proprio la Mafia, che Donovan arruolò senza troppi problemi per preparare lo sbarco. Così Brennan ricorse a Lucky Luciano che in cambio della libertà, fornì i nomi di 850 persone su cui contare in Sicilia per preparare l’operazione Husky (in codice, lo sbarco in Sicilia)[23].

        Subito dopo l’armistizio la sezione italiana dell’OSS si mise in moto reclutando in breve (soprattutto tra i prigionieri di guerra) un centinaio di uomini che si adoperarono per permettere allo stesso Donovan di incontrarsi a Capri con il filosofo Benedetto Croce al fine, tra l’altro, di valutare l’opportunità di costituire un  corpo di volontari italiani da far combattere al fianco degli Alleati. Ellery Huntington, comandante dell’OSS presso il gen. Clark (comandante della V Armata americana), appoggiò la proposta che venne però rigettata dagli inglesi e da Badoglio. Peter Tompkins (agente OSS travestito da giornalista inviato a Roma durante l’occupazione nazista) e il genero di Croce, Raimondo Craveri, utilizzarono allora gli uomini già arruolati al fine di usarli come agenti da infiltrare oltre le linee nemiche all’interno dell’ORI (Organizzazione per la Resistenza Italiana).

        Questo episodio costituì la cartina al tornasole di una certa contraddizione tra la linea britannica, dura e conservatrice, e quella americana forse più aperta a compromessi con le stesse forze politiche progressiste della penisola. Ma allo stesso tempo ciò dimostrò altresì la supremazia britannica, almeno iniziale, rispetto all’OSS. Infatti gli inglesi, anche a seguito di questi avvenimenti, accusarono il capo dell’OSS Italia, Huntington, di essere “troppo antimonarchico”[24] e ne chiesero l’immediata sostituzione. Donovan si allineò ai desideri di Londra ed inserì al suo posto prima il col. John Huskell (Vice presidente di Wall Street) e poi il col. Clifton C. Carter, estimatore della strategia inglese e di Badoglio.

     Di lì a poco l’intero schema operativo ed organizzativo nell’altra mediterranea dell’OSS venne rivisto. Infatti, nel maggio 1944 vennero importanti modifiche soprattutto a seguito delle critiche al Comando Supremo Militare Alleato e tendenti principalmente ad accentrare e razionalizzare il controllo militare sulle attività del suddetto servizio speciale americano. Pare certo che la decisione di rivedere la struttura mediterranea dell’OSS sia stata anche determinata anche dai risultanti non certo brillanti della prima parte del 1944, dovuti principalmente alla disorganizzazione e alla mancanza di controlli amministrativi.

       Intanto esplodevano i contrasti con Londra che, dopo le prime esperienze di amministrazione in comune dei territori liberati, continuava a considerare subalterni i servizi strategici statunitensi. Americani e britannici valutavano diversamente le misure da prendere per l’eliminazione del fascismo e dell’atteggiamento da assumere nei confronti delle forze politiche antifasciste. Mentre i primi si mostravano disposti a concedere una certa libertà di stampa e consideravano la sospensione delle attività politiche come una misura temporanea, gli inglesi si opposero decisamente alla riorganizzazione delle forze politiche; il loro punto di vista prevalse anche per la convinzione da parte americana che il governo militare non avrebbe dovuto avere un ruolo politico. Soltanto R & A riuscì a mantenere una certa indipendenza ed autonomia, soprattutto perché gli inglesi non ne consideravano essenziale l’integrazione con le proprie scelte operative, rivolte prevalentemente allo spionaggio e alla collaborazione con i gruppi della Resistenza e, perciò, meno attente alle metodologie degli analisti americani. “I rapporti di R & A con i britannici mai inclusero l’argomento dell’interazione, probabilmente perché vedevano il campo della ricerca come opposto allo spionaggio e all’aiuto alla Resistenza; la tolleravano poco e niente nella loro posizione di largo raggio in Europa”[25]. 


           


[1]Cfr. F.S.V. Donninson, Civil Affairs and Military Goverment: Central Organisation and Planning, London 1966, pp. 61 e ss.

[2]Riportato in K. Roosvelt, The War Report of OSS (Office of Strategic Services), New York 1976, vol. 1, a pp. XIV-XV.

[3]T.F.Troy, COI and British Intelligence: An Essay on Origins, Washington DC, 1970, pp. 8-26; anche W.J. Donovan, Intelligence Key to Denfense, in Life, September 30th, 1946, p. 108.

[4]Anche presso gli inglesi, i quali nel 1940 non conoscevano la reazione americana alla ormai imminente caduta della Francia, regnava l’incertezza per il persistere delle tendenze isolazionistiche degli USA. Cfr. L. De Long, The German Fifth Column in the Second World War, Chicago 1956; sui rapporti tra J.P. Kennedy e il president Roosevelt, cfr. M.R. Beschloss, Kennedy and Roosevelt. The Unaesy Alliance, New York 1980.

[5]Cfr. V. Sheenan, This House agaisnt this house, New York 1945-6, p. 298.

[6]R. Craveri, La Campagna d’Italia e i Servizi Segreti. La storia dell’ORI (1943-1945), Milano 1980. P. 42; anche E. Di Nolfo, Problemi della politica estera italiana 1943-50, in Storia e Politica, n. 2, 1975, p. 279; F. Solari, L’armonia discutibile della Resistenza, Milano 1979.

[7]Cfr. V. Sheenan, op. cit.

[8]Cfr. W. Morgan, The OSS and I, New York 1957, pp. 131-2.

[9] Telegramma dell’ACME (Allied Commission Mediterranean – Commissione Alleata del Mediterraneo) all’AFHQ (Allied Forces Head Quarter – Quartire Generale delle Forze Alleate). In PRO (Public Record Office – Archivio di Stato britannico), WO (War Office – Ufficio Bellico) 204/1989
[10] Minuta di C. C. Carter, comandante dell’OSS Italia del 6 maggio 1944. In PRO, WO 204/1990, Italy.
[11] Memorandum del Magg. Gen. Noce, GSC (Government Studies and Correspondence – Ufficio Studi e Corrispondenza del Ministero della Guerra britannico), del 20 gennaio 1945. In PRO, WO 204/6086
[13] Minuta redatta a Taranto il 14 settembre 1943, ora in PRO, WO 193/751: Operations in Italy 9/09/1943 – 31/05/1945
[14] Cfr. G. Warner, L’Italia e le potenze alleate dal 1943 al 1949 in Italia 1943-50. La ricostruzione (a cura di) S. G. Wolf, Milano 1974, pp. 50-85; G. Kolko, The Politics of War, New York 1969, pp. 49-63
[15] In L. Mercuri, 1943-45 Gli Alleati e l’Italia, Napoli, ESI, 1975, p. 81
[16] In PRO, FO (Foreign Office) 954/24 A
[17] In PRO, FO 898/26, SOE 1941-44, General Corrispondence
[18] A. Finocchiaro – Aprile, Il Movimento Indipendentista Siciliano, a cura di S.M. Guanci, Plaermo 1965, p. 103
[19] In PRO, FO 371/37308 (Appendix B)
[20] Dietro questo incarico formale vi era in realtà il timore da parte del dipartimento di Stato e del Dipartimento della Guerra, che Mac Millan avrebbe esercitato una forte influenza politica. Sulle discussioni intorno all’incarico di Mac Millan si vedano i documenti pubblicati in H.L. Coles – A.K. Weinberg, Civil Affairs: Soldiers become Governors, Washington DC, 1961, pp. 174-175, e la versione dello stesso protagonista, H. Mac Millan, The Blast of War, 1939-1945, vol. II, London 1967, p. 455
[21] In PRO, FO 371/37308 (Appendix B)
[22] In particolare coloro i quali si riconoscevano nello American Committee for Italian Democracy di Pecora e di “Sons of Italy”
[23] Cfr. D. Mack Smith, Storia della Sicilia Medievale e Moderna, Bari 1970 e S. Romano, Storia della Mafia, Milano 1963
[24] Cfr. R.H. Smith, OSS, Berkeley 1972, p. 87; R. Craveri, La Campagna d’Italia e i servizi segreti alleati. La Storia dell’ORI (1943-1945), Milano, La Pietra, 1980
[25] K. Roosvelt, The Overseas Target, New York 1977, vol. II, p. 5. Cfr. anche A. Dulles, The Craft of Intelligence, New York 1963, p. 27.