I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

mercoledì 24 aprile 2019

La conquista di Ancona Luglio 1944 I tedeschi


     
Le forze germaniche
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La situazione strategica delle forze tedesche sul fronte adriatico nel luglio 1944 è la diretta conseguenza delle scelte effettuate dallo Stato Maggiore Tedesco (OberKommando der Wermacht o OKW) all’indomani della previsione, che poi si è realizzata, dell’uscita dell’Italia dalla guerra. A seguito degli eventi del 25 luglio, ovvero la caduta del fascismo in Italia, e il successivo armistizio proclamato l’’8 settembre, OKW era deciso a propendere per l’occupazione del suolo italiano ed organizzarvi una resistenza ad oltranza, opinione peraltro condivisa anche dal feldmaresciallo Albert Kesserling, il quale era convinto di poter efficacemente contrastare gli Alleati  sfruttando l’orografia del territorio italiano. Si innescò, al riguardo, una aspra controversia, tra i feldmarescialli Kesserling e Rommel circa la tattica migliore da applicare al teatro di guerra italiano. Secondo il parere di Rommel l’Italia avrebbe dovuto essere difesa sugli Appennini settentrionali, tramite la predisposizione di un imponente e fortificata linea difensiva,mentre per Kesserling si sarebbe dovuto resistere ad oltranza ovunque fosse stato possibile.
L’OKW fu propenso ad appoggiare la seconda opzione. Questa scelta era ampiamente sostenuta da ragioni molto valide: la prima, di carattere economico, in quanto le industrie dell’Italia settentrionale erano necessarie al reich per sostenere lo sforzo bellico in atto; la seconda era di carattere militare, con l’obiettivo di affrontare il nemico il più lontano possibile dalla madre patria impegnando con un numero relativamente modesto di forze tedesche  un numero consistente di forze alleate. Infine, dando rilievo anche alla sfera diplomatica e politica, si voleva evitare una pericolosa perdita di prestigio per la Germania nei confronti dei suoi sempre più scettici alleati (ungheresi, romeni, bulgari e i vari “quisling” creati nell’orbita tedesca).
In questa ottica furono predisposte, a partire da sud, una serie di linee difensive fortificate che avrebbero consentito alle unità in ritirata di arrestare temporaneamente l’avanzata degli Alleati ed allo stesso tempo di fare arretrare verso nord il maggior numero di unità tedesche.
La prima di queste linee era la Bernhard, dal Garigliano sino a Fossacesia, in Abruzzo. La seconda era la Gustav che passava per Cassino, mentre più a settentrione già si lavorava alla realizzazione della linea gotica, a protezione della valle del Po con i suoi indispensabili prodotti agricoli e l’ancor più prezioso triangolo industriale. Infine l’ultima resistenza era destinata ad essere portata sulla cosiddetta linea veneta, il cui apprestamento era iniziato nel luglio 1944, e che correva dal Lago di Garda lungo il corso dell’Adige fino all’Adriatico.

La tattica attuata dall’ Oberbefehlshaber Suewest (Comando Supremo delle Forze Tedesche del sud-ovest) alle operazioni in Italia, soprattutto dopo le lezioni apprese dai falliti tentativi di rigettare a mare gli Alleati a Salerno ( 18 settembre 1943) ed Anzio (Febbraio 1944), fu forzatamente quella di una difesa flessibile su diverse linee di arresto temporaneo, tesa a guadagnare tempo prezioso ed a logorar el’avversario con il minimo dispendio di forze.
La capacità di Kesserling di frenare di Alleati e di agire con locali reazioni dinamiche permise di tenere il fronte a sud di Napoli fino a tutto il settembre 1943, per poi ritirarsi lentamente. Per Kesserling iniziò quella “manovra in ritirata” che sarà il suo capolavoro e che terrà gli Alleati lontano dalla pianura padana fino all’aprile 1945.[1]
Appare doveroso rimarcare che le condizioni in cui versavano i soldati tedeschi in Italia erano rese molto difficili dalla cronica mancanza di riserve d’armata e dalla scarsa mobilità delle loro divisioni, soprattutto quelle di fanteria, a causa della progressiva carenza di carburanti e di automezzi, prodotta sia dai bombardamenti alleati che dalle azioni di sabotaggio delle formazioni della resistenza.[2]
No notare, infine, l’assoluto dominio dell’aria da parte alleata. La cifra media degli aerei della Luftwaffe e dell’Aeronautica Nazionale repubblicana della Repubblica Sociale Italiana nell’estate dl 1944 era di 78 aerei tedeschi, di cui 54 pronti al combattimento, e 56 velivoli italiani, di cui 34 operativi, contro i circa 3600 aerei alleati.

Le dottrine operative tedesche erano imperniate sul principio dell’Auftragstatik, che si potrebbe tradurre “tattiche di missione”[3], che consisteva, in sostanza, in un sistema di comando discrezionale condotto per obiettivi invece che per ordini dettagliati. L’Auftragstatik, quindi, consisteva nel decentramento esecutivo del comando ed i comandanti in sottordine, fino ai minimi livelli operativi godevano della massima libertà di portare a termine la missione per la quale venivano fissate solo l’entità delle forze ed il tempo necessario. Presupposto di base era il culto dell’iniziativa e l’abitudine a prendere scelte individuali. Di conseguenza gli ordini contenevano tutto ciò che l’inferiore non poteva decidere da solo per raggiungere obiettivo fissato, ma non più di questo. Nell’esercito tedesco vi era una lunga tradizione di tale stile di comando, risalente alla elaborazione dottrinale postnapoleonica della scuola di guerra di Postdam, e tutti i comandanti erano addestrati a tale metodologia operativa che prevedeva la ricerca dello “Schwerpunkie”, o centro di gravità o punto debole del nemico, dove applicare le proprie concentrazioni di forze.





[1] Coltrinari M., Quando fini la Seconda Guerra Mondiale?, post in htpp//www.secondorisorigmento,it/rivista/dibattitofiewar.htm  
[2] Non si finisce mai di ribadire che il comportamento delle truppe verso la popolazione civile deve essere improntato alla massima correttezza, disciplina e rispetto, se non si vuole innescare movimenti di ribellione, disistima e resistenza. A questo riguardo, si noti che le forze Armate Italiane della Repubblica in tutti i  principali teatri in cui sono state impegnate in operazioni anche di peace renforcement  hanno subito atti di sabotaggio, attentati con relative vittime, spesso senza altro scopo che provocare danni e tragedie. Mai si sono svolte azioni di rappresaglia indiscriminata sulla popolazione civile. E questo dovrebbe essere tenuto conto quando si analizza il comportamento delle truppe tedesche in Italia dal 1943 al 1945.
[3] In termini di dottrina attuale  si può tradurre come “Mission Command”

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