I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

mercoledì 9 febbraio 2011

La frontiera della libertà


CON GLI ALPINI NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE (1943-1945)

Giorgio Donati



Sono ormai trascorsi sessanta anni dall’inizio della guerra di liberazione dell’Italia dopo l’8 settembre del 1943, ma i ricordi restano tenacemente scolpiti nella memoria e non manca occasione per farli riaffiorare con prepotenza.
Nel corso di una recente grande adunata di “penne nere” un robusto montanaro dai capelli brizzolati esce dal compatto sfilamento e mi abbraccia commosso: ”sur tenent, ero puntatore del terzo pezzo…..”e, correndo per riguadagnare il suo posto, si volta gridando “Monte Marrone”. Per lui mi sono deciso a scrivere questi appunti.
>per lui e per quelli che c’erano; per i tenti che sono tornati ed in memoria di quelli che sono rimasti nei cimiteri di guerra della Penisola, per ricordare che anche gli alpini e gli artiglieri da montagna hanno concorso con altre Armi e Specialità dell’Esercito (così come la Marina e l’Aeronautica) alla liberazione dell’Italia.
E’ noto che nel 1943 gli Alleati, prima scettici sulle capacità delle truppe italiane di combattere al loro fianco, si “scongelarono” di fronte all’evidenza dei fatti giungendo infine ad una totale rivalutazione, ricca di apprezzamenti.
A questa rivalutazione gli alpini diedero valido contributo, ponendo in luce, come nel passato, le lo ro caratteristiche di fondo: fora di carattere ed umiltà, umanità e buon senso, semplicità e tenacia.
Le unità alpine impegnate furono tre: inizialmente il battaglione “Piemonte”, seguito, dopo pochi mesi, dal battaglione “Monte Granero”, proveniente dalla Corsica; dopo la liberazione dell’Abruzzo, il battaglione “L’Aquila”. Altri elementi alpini operarono in reparti salmerie, che svolsero un ruolo tanto importante, quanto oscuro, per il successo delle operazioni alleate sulla barra appenninica.

NASCE IL “PIEMONTE”
Il battaglione Piemonte si costituì nel Salento, raccogliendo gli alpini, artiglieri e genieri alpini presenti a Bari in attesa di raggiungere la Divisione “Taurinense” in Montenegro o provenienti dalla stessa, alcuni dopo  tormentata odissea, a seguito delle vicende dell’8 settembre. Tutti veterani, anche se di classi giovani , avevano subito dato prova di dinamismo:l’8 settembre pomeriggio, alla voce che i genieri germanici avevano iniziato la demolizione delle attrezzature del porto di Bari, un gruppo di volontari (la maggioranza col cappello alpino) era intervenuto: una brevissima scaramuccia seguita dal precipitoso ripiegamento del drappello nemico.
Nei confronti dei nuovi alleati, giunti subito dopo, nessun complesso di inferiorità; una sera alcuni alpini molestati per la foggia insolita del copricapo da un  gruppo di marinai inglesi in un locale pubblico, avevano impartito agli imprudenti  una severa lezione. Circolata la voce, nessun altro incidente fu lamentato..
Dopo un  periodo di amalgama, il battaglione “Piemonte” (o meglio il “gruppo tattico Piemonte”, essendovi inclusa una batteria da 75/13), il 18 marzo 1944 passa alle dipendenze del I Raggruppamento Motorizzato (poi Corpo Italiano di Liberazione), il 19 marzo entra in linea nell’alta valle del Volturno e dopo solo undici giorni, il 31 marzo, con l’occupazione di Monte Marrone, si impone di colpo all’attenzione degli Alleati.
Ma torniamo in Puglia. Il periodo di addestramento era stato duro e penoso; inutile rammentare il crollo morale del Paese dopo l’8 settembre e la situazione di quegli uomini, sotto le armi da anni,  impegnati in snervanti operazioni antiguerriglia in Balcania, tagliati fuori dalle loro famiglie, rimaste al nord in territorio occupato, e giustamente preoccupati per la loro sorte.
“Sur tenent, son stufi ad fè la guera” si sentiva spesso ripetere. Ma un giorno ecco giungere un generale inglese per un ispezione al battaglione; osserva attentamente una ardita esercitazione a fuoco e, quindi assiste ad un esercizio di carico e scarico dai muli, trasporto a spalla e puntamento di una pezzo da 75/13; i pesanti carichi volano come fuscelli sotto gli sforzi dei serventi, animati dalla determinazione di “fargliela vedere, cosa sono gli alpini!”. Quando il caporal maggiore capo pezzo urla, ansimando, “pezzo pronto”, il flemmatico britanno si affretta, di slancio, verso il soldato italiano per stringergli la mano, commosso.
“Sur tenent, nui partuma nen per’l frunt”; ma quando la lunga autocolonna che ha caricato il battaglione in Puglia, dopo una notte di viaggio, giunge nell’alta valle del Volturno, ove già si sente tuonare il cannone, il Comandante di battaglione, un alpino con la  grinta dura ma con il cuore grande, risponde con un tremito nella voce, quando riceve dai suoi capitani il solito, ma in quel momento così significativo: “Nessuna novità. Tutti presenti”. Egli ha ottenuto una prima vittoria: i suoi alpini hanno capito che la loro opera collettiva, uniti nel battaglione, può essere di grande utilità morale e materiale per l’Italia martoriata e distrutta; l’innato sentimento del dovere ed il buon senso hanno avuto il sopravvento sull’avvilimento che domina il paese.

MONTE  MARRONE
Il “Piemonte” occupò di sorpresa Monte Marrone, lo sistemò a difesa (problema non semplice, data l’asperità delle forme e la fitta vegetazione), lavorando sodo, notte e giorno, nell’attesa di una reazione violenta, che non si fece attendere a lungo, tendente a riguadagnare quel magnifico osservatorio sulla valle del Volturno, che in mano agli alpini, costituiva una spina nel fianco dello schieramento germanico.
Nell’occupazione di Monte Marrone giocò un ruolo decisivo la sorpresa, fattore primo del successo in montagna: I reparti  erano pronti da giorni; la batteria aveva già preso posizione sull’aerea cresta
del Monte Castelnuovo (pezzi e munizioni vi erano stati portati di notte a spalla); i mortai da 81 erano anch’essi in postazione a ridosso del colossale bastione; le artiglierie del CIL ed alleate erano pronte ad intervenire.
Il 30 marzo all’imbrunire scatta l’operazione; all’alba del 31, la 1° compagnia preceduta dagli esploratori, è sulla quota già in via di consolidamento immediatamente fiancheggiata dalla 2° e poi dalla 3° compagnia.
Una notte, una interminabile notte durante la quale 400 uomini avevano compiuto un balzo verticale di 800 metri, lungo vie di salita aspre, con tratti in roccia viva, affondando nella neve sotto carichi enormi, nel più assoluto silenzio.
Il balcone del Volturno quella notte era sguarnito anche se erano evidenti le recenti tracce di passaggio e sosta di pattuglie tedesche. Il nemico non attendeva sorprese da quel selvaggio strapiombo; gli alpini salirono e si affermarono sulla posizione; alle loro spalle l’abisso orrido e immenso.
Il nemico tentò due volte di dare loro la spinta mortale. Una prima volta il 3 aprile con una ricognizione notturna in forze, respinta con perdite. Una seconda volta la notte di Pasqua, il 10 aprile gli alpini hanno cantato fino a tardi sommessamente, il pensiero alle famiglie lontane; l’eco del coro non si è ancora spento che inizia  ben altro concerto: poche ma centrate salve di artiglieria e mortai, seguite immediatamente dal ben noto crepitio di armi automatiche tedesche; una compagnia rinforzata ha attaccato con decisione; supera il campo minato, penetra in alcuni camminamenti, raffiche di mitra, bombe a mano, urla, traccianti e razzi in tutte le direzioni, colpi di artiglieria e mortai sugli sbarramenti bel al di sotto dei limiti di sicurezza; afflusso frettoloso di rincalzi e corpo a corpo nelle postazioni; il combattimento accesosi con violenza si spegne altrettanto rapidamente. Sul Marrone ci sono ancora gli alpini.
Durante il combattimento ha fatto sentire la sua voce anche il “pezzo ardito”  della batteria, in prima linea con gli alpini secondo la tradizione dell’artiglieria alpina.
Un ufficiale distaccato a Monte Marrone con il “pezzo ardito” parteciperà volontariamente come gregario nel mese di maggio, ad un colpo di mano dei bersaglieri sull’osservatorio tedesco fdi Monte Mare dominante le posizioni di Monte Marrone. Non tornerà indietro il tenente Enrico Guerriera, medaglia d’oro alla memoria caduto eroicamente per proteggere, benchè ferito, il ripiegamento della pattuglia di fronte ad un preponderante contrassalto nemico (M.Mare, 11 maggio 1944).
Nel corso delle operazioni sul Monte Marrone, gli alpini rivelarono le qualità di sempre: senso del dovere e umanità profonda; verso i nemici caduti tanta pietà; nei confronti dei prigionieri, non sprezzo ma i generi di conforto della razione; nei riguardi dei feriti, generosità e fatiche enormi per sgomberarli tempestivamente a valle. L’alpino è fatto così: sotto una dura scorza batte un cuore più grande delle sue montagne.

L’OFFENSIVA  DI  PRIMAVERA
Monte Marrone si trasformò da caposaldo, in base di partenza del “Piemonte” per l’offensiva di primavera. Costruita un aerea mulattiera, accantonati sui rovesci della quota poderosi rifornimenti, la molla compressa è pronta allo scatto che avviene il 27 maggio. Il battaglione deve raggiungere Balzo della Cicogna, penetrare in Val di Canneto risalendola fino alla testata per ridiscendere sull'opposto versante ed intercettare la rotabile Opi-Barrea. Un compito da far tremare: una penetrazione di circa 20km attraverso il cuore del parco nazionale degli Abruzzi lungo uno stretto fondo valle percorso da un unico sentiero, con i fianchi coperti di vegetazione vergine e solcati da forre, calanchi, dirupi ancora innevati: un ambiente primitivo di selvaggia bellezza.
Il “Piemonte” affronta il non facile compito; muove per successive occupazioni di punti dominanti vincendo il contrasto di elementi ritardatori come i tenacissimi “alpenjager” bavaresi, penetra in profondità ma con prudenza per evitare sorprese.
Il Comandante di battaglione si è ripromesso di riportare a casa i suoi alpini e non si lascia trascinare da facili entusiasmi: gli alpini lo hanno capito ed hanno in lui piena fiducia.
E’ proprio questa fiducia che il “capo penna bianca” Maggiore Briatore non vuole tradire a nessun costo. Gli “alpenjager” ritirandosi lentamente verso la testata della valle moltiplicano le successive resistenze sfruttando abilmente le posizioni dominanti, protetti da dosati tiri di sbarramento e d’interdizione.
Si procede faticosamente; uomini  e quadrupedi sono provati dalla fatica; si opera ormai a 20 ore di mulattiera dalle teste di scarico dei trasporti motorizzati; lo sgombero di un ferito (e ve ne sono numerosi) impegna una organizzazione imponente. Ma il “Piemonte” continua la sua tenace avanzata. Quand’ecco giungere un ordine: “operazione sospesa; rientro immediato a Castelnuovo; tutto il CIL si trasferisce sul fronte adriatico”.

LA MARCIA VERSO IL NORD. IL BATTAGLIONE  MONTE  GRANERO
I primi di giugno 1944 gli alpini del “Piemonte” sempre inquadrati nel CIL, sono sul fronte adriatico: si attende anche in questo settore la spallata decisiva.
Dopo pochi giorni di combattimento il nemico rompe il contatto e ripiega verso nord protetto da  mobilissime retroguardie e da tante interruzioni provocate con la disseminazione di mine. Si parte: S.Eusanio del Sangro, Rapino, Manoppello, un difficilissimo guado del Pescara in piena, Rosciano e poi Torre di Passeri, l’Aquila (13 giugno), Amatrice, Amendola, Sarnano, Tolentino. Ovunque le popolazioni stupite di veder giungere dal sud soldati italiani, e per di più alpini, li accolgono con entusiasmo; queste manifestazioni danno una forte carica ai reparti che procedono di giorno e di notte, con i piedi fiaccati ma con ferma determinazione.
Il 25 giugno altri alpini entrano in combattimento. Sono i “veci” del battaglione “Monte Granero” che l’8 settembre hanno lavorato sodo per la liberazione della Corsica; i “papalòtu” (così quelli del “Piemonte” chiamano questi territoriali di classi anziane, quasi tutti padri di famiglia) si comporteranno egregiamente combattendo con tenacia e fermezza.
Contemporaneamente si ricostituisce il 3° reggimento alpini che inquadra i due battaglioni ora alimentati da  ex alpini abruzzesi che hanno operato nelle brigate partigiane della “Maiella”. Le due batterie alpine a loro volta costituiscono un gruppo di formazione da 75/13.
I germanici avvicinandosi alla gotica accentuano l’azione di contrasto; le loro retroguardie, poche unità mobilissime, aggressive, composte di veterani, combattono con impegno: gli alpini ,lo sanno, stanno sempre sul chi vive, non si faranno mai sorprendere. ”Motorizzati a piedi” muovendo sui fianchi appenninici proteggono il fianco sinistro prima del V° Corpo Britannico, successivamente del Corpo d’Armata polacco tenendo il passo dei corazzati e suscitando incondizionata ammirazione.
Si sfila sotto Filottrano mentre ancora i paracadutisti del “Nembo” vi combattono vittoriosamente.
Si forza il Musone, si occupano S.Maria Nuova e Jesi (20 luglio) e avanti ancora: Barbara, Castelleone di Suasa, Casa Honorati, Casa Girolimini; ogni località un fatto d’arme, una dimostrazione di volontà combattiva. La fine di agosto vede gli alpini ancora impegnati in scontri a Pantana, Pergola, Monte Borea: si è in vista di Urbino. Ma qui la “marcia longa” si arresta.
Dopo aver percorso circa 500 chilometri in tre mesi, il CIL e con esso gli alpini ritornano verso il sud: hanno fatto il loro dovere: Per merito del CIL gli Alleati hanno autorizzato e disposto la costituzione di 5 Gruppi di Combattimento italiani per l’ultima fase della lotta.
A Piedimonte d’Alife vengono riequipaggiati ed addestrati con armamento alleato. Una nota patetica: si salutano i fedelissimi muli (qualche conducente non sa frenare una lacrima), si lascia il 75/13; agli artiglieri alpini viene offerto di entrare nei gruppi di campagna, ma cosa faranno le “panse longhe” senza i loro “pais”?. Non uno si fa avanti e le batterie si trasformano in compagnie armi di accompagnamento dei battaglioni alpini “Piemonte e Aquila”.
Combattere insieme per arrivare insieme a casa!

GLI ALPINI DEL GRUPPO DI COMBATTIMENTO LEGNANO
Addestrati all’ombra del Matese, dopo due brevi soste a Bracciano e nel Chianti, gli alpini con uniformi, armi e munizioni inglesi, ma con cuore , cappello e penna italiani, rientrano in linea il 18 marzo 1945 sul fronte di Bologna in Valle Idice.
Sono inquadrati nel gruppo di combattimento “Legnano” ed in particolare in un reggimento speciale costituito da due battaglioni alpini: il “Piemonte” e “L’Aquila”; un battaglione bersaglieri, il “Goito”; una compagnia mortai da 76, ed una compagnia  cannoni. Una sana emulazione ed un razionale impiego renderà eccezionale il rendimento del reggimento. Il battaglione “L’Aquila” e la compagnia mortai sono stati costituiti con alpini del “Monte Granero” e con richiamati e volontari reclutati in Abruzzo.
Subito in prima linea, gli alpini sono duramente impegnati da un nemico che, se è in atteggiamento strategico difensivo, sta operando in campo tattico con concetti altamente dinamici: il logorante pattugliamento offensivo dei tedeschi viene tenacemente contrastato dagli alpini, e col trascorrere dei giorni perde mordente sino a lasciare alle “penne nere” la piena iniziativa in terra di nessuno.
Nel corso di una di queste ricognizioni cade il comandante del battaglione “l’Aquila”, maggiore Augusto De Cobelli,  MOVM alla memoria. Scriverà il generale Utili, comandante del “Legnano”: “lo ringrazio di avere col suo proprio sangue suggellato il tradizionale posto d’onore dell’Ufficiale Italiano”. Si giunge all’offensiva primaverile del 1945 e nel quadro complessivo dell’azione il reggimento speciale riceve il compito di conquistare la famigerata “quota 363”, una sommità dominante le valli Idice e Zena trasformata dai germanici in temibile fortilizio, cerniera tra la 14° e la 10° Armata tedesca.
Per la conquista di  quota 363 viene designato il battaglione bersaglieri “Goito”, ma il 19 aprile il gioco di imprevisti che sempre domina la battaglia affida all’improvviso il difficile compito agli alpini del “Piemonte” che da un mese fronteggiano le dominanti posizioni della 363 subendone le nutrite raffiche di armi automatiche.
La 2° compagnia del “Piemonte” parte, attacca, penetra, si ferma in una tempesta di fuoco. Tutti gli animi sono sospesi: che sta succedendo?
D’un tratto il comandante chiede altri 10 minuti di fuoco celere e poi l’immediato allungamento del tiro. Dopo altrettanti minuti che sembrano anni, giunge una laconica notizia: caposaldo conquistato!
L’azione sulla 363 è stata un esempio da manuale di tempestività e sincronismo. Mentre le schegge delle ultime salve ancora stavano ronzando nell’aria,  gli alpini irrompevano a bombe a mano nella posizione sorprendendo la massa dei difensori nei ricoveri con brevi ma violenti corpo a corpo condotti con veemenza tale da indurre il nemico pur deciso, alla resa;  una fulminea penetrazione in profondità nella posizione che stroncava sul nascere un tentativo di contrassalto. Catturati 70 prigionieri con il comandante del caposaldo. Aperta la via verso la pianura.
Nel frattempo “l’Aquila” si insinua coraggiosamente nella valle Idice verso le munite posizioni di S.Chierico e Monte Armato ottenendo nuovi successi non senza dolorose perdite.
Ormai il fronte tedesco in Italia sta crollando sotto i colpi degli Alleati. Il 20 aprile il nemico rompe il contatto ed ha inizio  l’inseguimento verso le frontiere. Il 21 aprile preceduti dai bersaglieri del “Goito” eredi delle tradizioni degli eroici ragazzi di Monte Lungo, gli alpini del reggimento speciale entrano in una indimenticabile e delirante Bologna.
Nei giorni successivi distaccamenti alpini dilagano con altre unità italiane e alleate, nella Pianura Padana e verso i confini: Milano, Bergamo, Pavia, Como, Torino, Valtellina ed un audacissima puntata su Bolzano, dalla Val Camonica, di una compagnia del battaglione “L’Aquila”.
La guerra in Italia è finita!

CONCLUSIONE
2 maggio 1945: le “cingolette” degli alpini del “Piemonte” si arrestano in Piazza Castello a Torino appena liberata dall’incubo. Volti stupiti, occhi lucidi: chi siete? Da dove venite? Ciao “pais”!
Alpini della Guerra di Liberazione siete tornati a casa dopo anni di sacrifici. Avete dovuto stringere i denti, avete rischiato duramente ma sentite l’intima fierezza di aver fatto il vostro dovere e di aver tenuto alto, di fronte agli occhi del mondo, il prestigio della “penna”.
Tornate alle vostre case a testa alta, riabbracciate madri e spose trepidanti e dite ai vostri “veci” che vi raccontavano della loro grande guerra sui ghiacciai e sulle crode dell’Adamello e dell’Ortigara, che possono essere ben fieri dei loro “bocia”.
Ricordatevi di raccontare ai vostri figli ciò che avete fatto per l’Italia in momenti di avvilimento  e di miseria. Leggete loro le motivazioni delle decorazioni al Valore Militare concesse alle bandiere dei vostri reggimenti, per la Guerra di Liberazione (medaglia d’argento ai battaglioni “Piemonte” e “L’Aquila”, medaglia di bronzo al battaglione “Monte Granero”) . Dite loro che il sangue degli alpini caduti ed i vostri sacrifici hanno dato un sostanzioso contributo alla liberazione della patria dal nazifascismo. Saranno parole salutari per voi, per loro, per tutti affinchè ciò che voi avete sopportato non avvenga più. E rivolgiamo un solidale abbraccio ai tanti alpini che diedero il loro generoso contributo alla liberazione dell’Italia operando in territorio occupato dai nazifascisti nelle formazioni partigiane durante il periodo della resistenza, sulle montagne e nelle città, sia in Italia, sia nei Balcani. E lo stesso abbraccio vada agli alpini che rinchiusi nei lager nazisti respinsero l’offerta di libertà per non collaborare con la Repubblica di Salò.
Come i loro padri del Montenero, dell’Adamello e dell’Ortigara, anche gli alpini della generazione della seconda guerra mondiale nelle più diverse e difficili circostanze, hanno saputo fare le loro scelte ed il loro dovere sulla frontiera della libertà  e della democrazia.

CENNO BIBLIOGRAFICO
SME – Ufficio Storico: Il corpo Italiano di Liberazione, Roma 1950
CASTREN: Penna Temprata, Ed. Amodio, Napoli 1944
A.MURERO: Il gruppo di Combattimento Legnano, Ed. Arti Grafiche, Bergamo 1946