I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

lunedì 10 ottobre 2022

51a Sezione di Sanità. Sul Lago di Bracciano ed in Chianti

 

 

“I giorni e la fiamma

d’ogni libertà son da presso”

(D’Annunzio – Maia)

 

Riprendiamo a ritroso la via Casilina ed attraversiamo Roma che ci segue con un’ondata di simpatia. Per la via Cassia giungiamo in vista di Bracciano che si affaccia sul suo lago e lo domina colla torva mole del suo castello il quale vide già le prepotenze degli Orsini e la tragedia dei Cenci.

Sosta di un mese a Manziana a continuare l’addestramento, non prima però di avere dedicato appassionati preparativi alla celebrazione del Natale.

E' uno dei tanti Natali di guerra: chi ne conta quattro, chi sei e chi anche di più; ma ognuno ha nel cuore la certezza che sarà l’ultimo.

L'anno precedente, dopo le tremende giornate di Monte Lungo, il Natale fu celebrato in linea al   cento per   cento, là al bivio di Presenzano.  Giorno di sconforto morale, cui anche la impossibilità di recare ai soldati un qualche diversivo rendeva più grigio ed uniforme. Ci fu allora il tradizionale pensiero materno della Regina d’Italia, che per mezzo del Principe di Piemonte mandò dei pacchi e doni ai feriti; per gli altri soldati in linea i comandi fecero distribuire dei sacchetti di fichi secchi opportunamente mescolati   a   del tabacco da pipa, che servirono se non altro a sollevare fra i più scanzonati un'ondata di buon umore.

 Ma quest’anno, perbacco! sarebbe stato colpevole non pensarci in tempo, epperciò, pur col pericolo di guastare tutto a causa del trasferimento avvenuto proprio nella settimana natalizia, non si perse tempo appena giunti a Manziana.

Chi trasportava tavoli e panche, chi racimolava bandiere e rami di pino e apprestava scritte augurali, chi faceva il punto alla illuminazione: il Cappellano si moltiplicava dalla Chiesa al salone del teatro, dalle prove corali, all'orchestrina, alla cucina.

E ne venne fuori un Natale coi fiocchi, quasi di famiglia, celebrato in serenità, in bontà, in umana comprensione dei desideri e delle aspirazioni di tutti, nel ricordo dei legami familiari, degli affetti lontani e nel rinsaldarsi della presente fraternità nata sotto le armi.

Ci fu a mezzanotte la Messa, eppoi, nel salone del palazzo Tittoni, un trattenimento con musiche, pacchi dono, abbondanti rinfreschi; ci fu un lauto pranzo natalizio, a cui i trecento e più convitati, a dire il vero disciplinatissimi ed ordinati davano la impressione della compattezza del reparto. Non mancò il generale Utili di venire a portare il suo augurio ai soldati riuniti a mensa e vi sedette un poco, insieme all' Arcivescovo castrense, Mons. Ferrero   di Cavallerleone.

L'Ordinario Militare ritornò dopo qualche giorno ad amministrare la Cresima e ad intrattenersi ancora benevolmente coi soldati della Sezione Sanità nella loro sala convegno.

Le giornate di Manziana furono allora un po’ le “giornate romane” della Sezione Sanità e degli altri elementi del gruppo “Legnano”.

Non fu tralasciata la visita al Pontefice, la prima per la maggior parte dei soldati, e, nella folla di militari alleati delle più svariate nazionalità che gremivano la sala Clementina, fo sottolineata con simpatia una particolare attenzione per gli italiani, quelli del “Legnano”.

Introdotti nello spazio precluso dalla balaustrata, i soldati della liberazione furono oggetto di amorevole interessamento, di calde parole augurali, e di un dolce paterno sguardo che insieme alle commoventi parole ed al gesto benedicente, li accompagnò fuori dal Vaticano, fuori di Roma, per il resto del loro percorso attraverso l’Italia.

 

* * *

 

Un'alba livida in un cielo di neve. In Manziana, assopita ancora fra i boschi spogli, è un incrociarsi di luminarie di fari, di fragore di motori, di richiami, di comandi. Le ombre persistenti e le vie saponate di neve motosa provocano piccoli incidenti, battibecchi, manovre e contromanovre. Finalmente l’autocolonna si snoda fra deviazioni ed interruzioni alla ricerca della via Flaminia.

Ecco Civita Castellana dagli alti ponti, ecco l’aerea Narni intatta, tutta fasciata dall’orpello di manifesti politici e di scritte murali, ecco Terni straziata. I motori ansimanti attaccano la “Somma” e si slanciano, per la stretta dell’“alta Spoleto” tutta agghindata nel placido vespro, sulla magnifica piana di Assisi. Costeggiate le Fonti del Clitumno e Trevi che “siede in vista limpida e serena” si arriva, col cadere della notte a Foligno, piuttosto malconcia.

Si dorme, se così si può dire, sugli automezzi nella diruta e fangosa caserma dell’Artiglieria.

Il primo mattino ci vede di nuovo in via.

Fra un piovasco e l’altro ci sorride la nota Madonnina d'oro di S. Maria degli Angeli, mentre Assisi dorme il suo sonno mistico fra veli di nebbia. Arranchiamo verso l’“augusta Perugia”. In alto svetta l'agile campanile di S. Pietro. Si lambisce la città etrusca e ci si getta per gli ampi tornanti che portano al Trasimeno.

Lo storico lago ci presenta una grinta grigia   e piatta.

Ai piedi di Cortona festante di ulivi, consumiamo i viveri a secco e via di nuovo tra i roggi vigneti stecchiti.

Volano via rapide infinite borgate. Su Arezzo semidistrutta piange un'acquerugiola insistente. E' difficile ritrovare fra tante macerie la strada   giusta.  Dopo una   breve   caracollata fra buche e ponti di fortuna entriamo nella Val d'Arno attraverso le rovine di Levane.

A Montevarchi, lacerata qua e là, un moviere ci indirizza per una via di campagna che si snoda, in dolce salita fra ulivi e cipressi. Sali, sali... terminano le vigne e gli uliveti.... Comincia la selva... si sale ancora... ecco le abetaie intirizzite nella tramontana ... si sale ancora, ma dove si va?... Ci riceve una augusta e solitaria Badia adagiata tra boschi neri.

Siamo a Coltibuono in Chianti. In basso si apre la Val d'Arno, in alto troneggia, fra nuvole e nevi, il Pratomagno. Riverita la castellana, si scaricano le macchine, si impiantano le cucine e si invade la casa del buon Prevosto che ci offre castagne e vino presso l'ampio focolare.

Tre giorni appena dura la sosta. Si abbandona la Badia per un posto più ampio. Attraverso Radda e Gajole, ricche d i generose cantine, risaliamo al Castello di Meleto dei Baroni Ricasoli, che per cinquanta magnifici giorni sarà la nostra sede.

 

O Toscana, o Toscana

Dolce tu sei ne’ tuoi orti

che lo spino ti chiude

e il cipresso ti guarda;

dolce tu sei nelle tue colline che il ruscello ti riga

e l’ulivo t' inghirlanda

(D'Annunzio - Alcyone)

 

 

Presto si fa amicizia con le buone popolazioni di San Piero, di Vertine, di Rietine, di Gajole, di Castagnoli, con i Prevosti, con i fattori, con i padroni   del luogo.   Ci si sente come in casa nostra, in questo felice angolo della Toscana.

I portaferiti si sistemano a San Piero, il Comando ed il II Reparto nel Castello di Meleto, il I Reparto a Rietine, la Farmacia al Molinaccio. Ben presto tutti i soldati imparano la via delle cantine più riposte, delle case più accoglienti, dei paesi più festaìuoli. E mentre si aprono nel cielo raddolcito le prime timide fioriture di mandorlo, molti cuori tenerelli sentono il messaggio della primavera ed intessono i tradizionali romanzetti d'amore fra il tenero verzicare dei grani.

 


Nessun commento: