“I giorni e la
fiamma
d’ogni libertà son
da presso”
(D’Annunzio –
Maia)
Riprendiamo a ritroso la via
Casilina ed attraversiamo Roma che ci segue con un’ondata di simpatia. Per la
via Cassia giungiamo in vista di Bracciano che si affaccia sul suo lago e lo
domina colla torva mole del suo castello il quale vide già le prepotenze degli
Orsini e la tragedia dei Cenci.
Sosta di un mese a Manziana a
continuare l’addestramento, non prima però di avere dedicato appassionati
preparativi alla celebrazione del Natale.
E' uno dei tanti Natali di guerra:
chi ne conta quattro, chi sei e chi anche di più; ma ognuno ha nel cuore la
certezza che sarà l’ultimo.
L'anno precedente, dopo le tremende
giornate di Monte Lungo, il Natale fu celebrato in linea al cento
per cento, là al bivio di Presenzano. Giorno di sconforto morale, cui anche la
impossibilità di recare ai soldati un qualche diversivo rendeva più grigio ed
uniforme. Ci fu allora il tradizionale pensiero materno della Regina d’Italia,
che per mezzo del Principe di Piemonte mandò dei pacchi e doni ai feriti; per
gli altri soldati in linea i comandi fecero distribuire dei sacchetti di fichi
secchi opportunamente mescolati a del tabacco da pipa, che servirono se non
altro a sollevare fra i più scanzonati un'ondata di buon umore.
Ma quest’anno, perbacco! sarebbe stato
colpevole non pensarci in tempo, epperciò, pur col pericolo di guastare tutto a
causa del trasferimento avvenuto proprio nella settimana natalizia, non si perse
tempo appena giunti a Manziana.
Chi trasportava tavoli e panche,
chi racimolava bandiere e rami di pino e apprestava scritte augurali, chi
faceva il punto alla illuminazione: il Cappellano si moltiplicava dalla Chiesa
al salone del teatro, dalle prove corali, all'orchestrina, alla cucina.
E ne venne fuori un Natale coi
fiocchi, quasi di famiglia, celebrato in serenità, in bontà, in umana
comprensione dei desideri e delle aspirazioni di tutti, nel ricordo dei legami
familiari, degli affetti lontani e nel rinsaldarsi della presente fraternità
nata sotto le armi.
Ci fu a mezzanotte la Messa, eppoi,
nel salone del palazzo Tittoni, un trattenimento con musiche, pacchi dono, abbondanti
rinfreschi; ci fu un lauto pranzo natalizio, a cui i trecento e più convitati,
a dire il vero disciplinatissimi ed ordinati davano la impressione della
compattezza del reparto. Non mancò il generale Utili di venire a portare il suo
augurio ai soldati riuniti a mensa e vi sedette un poco, insieme all' Arcivescovo
castrense, Mons. Ferrero di
Cavallerleone.
L'Ordinario Militare ritornò dopo
qualche giorno ad amministrare la Cresima e ad intrattenersi ancora
benevolmente coi soldati della Sezione Sanità nella loro sala convegno.
Le giornate di Manziana furono
allora un po’ le “giornate romane” della Sezione Sanità e degli altri elementi
del gruppo “Legnano”.
Non fu tralasciata la visita al
Pontefice, la prima per la maggior parte dei soldati, e, nella folla di
militari alleati delle più svariate nazionalità che gremivano la sala Clementina,
fo sottolineata con simpatia una particolare attenzione per gli italiani, quelli
del “Legnano”.
Introdotti nello spazio precluso
dalla balaustrata, i soldati della liberazione furono oggetto di amorevole
interessamento, di calde parole augurali, e di un dolce paterno sguardo che
insieme alle commoventi parole ed al gesto benedicente, li accompagnò fuori dal
Vaticano, fuori di Roma, per il resto del loro percorso attraverso l’Italia.
* * *
Un'alba livida in un cielo di neve.
In Manziana, assopita ancora fra i boschi spogli, è un incrociarsi di luminarie
di fari, di fragore di motori, di richiami, di comandi. Le ombre persistenti e
le vie saponate di neve motosa provocano piccoli incidenti, battibecchi,
manovre e contromanovre. Finalmente l’autocolonna si snoda fra deviazioni ed
interruzioni alla ricerca della via Flaminia.
Ecco Civita Castellana dagli alti
ponti, ecco l’aerea Narni intatta, tutta fasciata dall’orpello di manifesti
politici e di scritte murali, ecco Terni straziata. I motori ansimanti
attaccano la “Somma” e si slanciano, per la stretta dell’“alta Spoleto” tutta
agghindata nel placido vespro, sulla magnifica piana di Assisi. Costeggiate le
Fonti del Clitumno e Trevi che “siede in vista limpida e serena” si arriva, col
cadere della notte a Foligno, piuttosto malconcia.
Si dorme, se così si può dire,
sugli automezzi nella diruta e fangosa caserma dell’Artiglieria.
Il primo mattino ci vede di nuovo
in via.
Fra un piovasco e l’altro ci
sorride la nota Madonnina d'oro di S. Maria degli Angeli, mentre Assisi dorme
il suo sonno mistico fra veli di nebbia. Arranchiamo verso l’“augusta Perugia”.
In alto svetta l'agile campanile di S. Pietro. Si lambisce la città etrusca e
ci si getta per gli ampi tornanti che portano al Trasimeno.
Lo storico lago ci presenta una
grinta grigia e piatta.
Ai piedi di Cortona festante di
ulivi, consumiamo i viveri a secco e via di nuovo tra i roggi vigneti stecchiti.
Volano via rapide infinite borgate.
Su Arezzo semidistrutta piange un'acquerugiola insistente. E' difficile
ritrovare fra tante macerie la strada
giusta. Dopo una breve
caracollata fra buche e ponti di fortuna entriamo nella Val d'Arno attraverso
le rovine di Levane.
A Montevarchi, lacerata qua e là,
un moviere ci indirizza per una via di campagna che si snoda, in dolce salita
fra ulivi e cipressi. Sali, sali... terminano le vigne e gli uliveti.... Comincia
la selva... si sale ancora... ecco le abetaie intirizzite nella tramontana ...
si sale ancora, ma dove si va?... Ci riceve una augusta e solitaria Badia
adagiata tra boschi neri.
Siamo a Coltibuono in Chianti. In
basso si apre la Val d'Arno, in alto troneggia, fra nuvole e nevi, il
Pratomagno. Riverita la castellana, si scaricano le macchine, si impiantano le
cucine e si invade la casa del buon Prevosto che ci offre castagne e vino
presso l'ampio focolare.
Tre giorni appena dura la sosta. Si
abbandona la Badia per un posto più ampio. Attraverso Radda e Gajole, ricche d
i generose cantine, risaliamo al Castello di Meleto dei Baroni Ricasoli, che
per cinquanta magnifici giorni sarà la nostra sede.
O
Toscana, o Toscana
Dolce
tu sei ne’ tuoi orti
che
lo spino ti chiude
e il
cipresso ti guarda;
dolce
tu sei nelle tue colline che il ruscello ti riga
e l’ulivo
t' inghirlanda
(D'Annunzio - Alcyone)
Presto si fa amicizia con le buone
popolazioni di San Piero, di Vertine, di Rietine, di Gajole, di Castagnoli, con
i Prevosti, con i fattori, con i padroni
del luogo. Ci si sente come in
casa nostra, in questo felice angolo della Toscana.
I portaferiti si sistemano a San
Piero, il Comando ed il II Reparto nel Castello di Meleto, il I Reparto a
Rietine, la Farmacia al Molinaccio. Ben presto tutti i soldati imparano la via
delle cantine più riposte, delle case più accoglienti, dei paesi più
festaìuoli. E mentre si aprono nel cielo raddolcito le prime timide fioriture
di mandorlo, molti cuori tenerelli sentono il messaggio della primavera ed intessono
i tradizionali romanzetti d'amore fra il tenero verzicare dei grani.
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