Renato Lodi cosi ricorda:
“Dopo
Filottrano la Nembo, la nostra fanteria, fu ritirata per le perdite che aveva
avuto, allo scopo di riordinarsi, dopo i combattimenti sostenuti. L’artiglieria
no! L’artiglieria proseguì e mi capitò una grande avventura. Fui mandato con la
mia pattuglia O.C. ( osservazione e collegamento) presso il ten. col. Boschetti
col IX Reparto d’assalto, per il forzamento del fiume Musone. Il Musone è un
rigagnolo da quattro soldi, si potrebbe chiamare una “lisciatina” come dicono
in Toscana. Comunque sul versante successivo a tale fiume i tedeschi avevano
organizzato quello che, dopo anni, appresi, alla Scuola di Guerra, essere un
campo minato d’arresto, molto fitto. Con dentro postazioni di armi individuale
di reparto, mitragliatrici ecc. Era un osso durissimo, ci si erano già scornati
reparti di un reggimento fanteria ( mi pare il 68<à reggimento), quando fu
mandato avanti il battaglione Boschetti. Io avevo solo due chilometri circa di
filo telefonico francese che avevo trovato abbandonato dai tedeschi, utilissimo
perché molto leggero, che si stendeva poi si abbandonava. Allora andai dal mio
Comandante di gruppo e gli dissi che il filo telefonico poteva arrivare al
massimo fino al Musone.
“Ma è semplice – mi disse il ten.col. Cangini –tu lasci là un
telefonista, poi prendi questo grande fazzoletto bianco ( me lo fissò sulle
spalle con quattro spille) e vai avanti, mai più lontano di 50 metri dall’assaltatore
più avanzato di Boschetti”
Così dall’osservatorio poteva vedere ove arrivavamo e regolare il fuoco
dell’artiglieria.
La cosa è presto detta, ma a farla io ho avuto la paura più terribile
della mia vita. Ho passato due ore d’inferno perché tutti sparavano intorno a
me e lanciavano bombe a mano. Io cercavo di andare più sotto possibile, ma non
potevo stare in piedi, camminando un po’ con le ginocchia e cercavo di
orientarmi con le spalle verso l’osservatorio. Ma che fatica per quel povero
Sottotenente con tutti quegli scatenati, da una parte e dall’altra, che si
ammazzavano anche a pugnalate! Ebbi solo paura che alla fine, quando l’azione
fu terminata, mi accorsi che per tutto il combattimento io non avevo neppure
estratto la pistola dalla fondina! Ma fu quella la prima e l’ultima volta che
ricevetti gli elogi dal mio comandante di Gruppo.
Mi scrisse un biglietto “Bravo Lodi, adesso puoi andare a riposare con la pattuglia. Avevo
già avuto due morti nella mia pattuglia, uno era il capp. Magg. Hribar,
campione italiano di nuovo a rana…Certo avevamo un grande spirito di corpo e ce
la mettevamo sempre tutta e, quando si è così, potete essere sicuri che la c’è
disciplina, ordine e voglia di fare. La riprova? Non avremmo mai mancanze
disciplinari durante tutto il periodo di combattimento del C.I.L.”
Il saldo
spirito e il morale alto erano la diretta azione di comando del Col. Giaccone,
uno dei protagonisti delle convulse giornate armistiziali a Roma nel settembre
precedente, possono essere dedotte dal discorso che al momento della
costituzione del Reggimento Giaccone fece ai suoi ufficiali
“Signori, ricordatevi che finché sarò il vostro colonnello non mi farò
promotore di ricompense al valore nei vostri confronti di nessuno di voi,
qualsiasi cosa facciate. Però vi chiedo di dare il massimo durante le
operazioni al fine di guadagnare alla nostra Bandiera ( al nostro Stendardo)
una ricompensa al valor militare”
Riporta
ancora il gen. Lodi:
“Fine del discorso. Noi
fummo tutti convinti della validità di questo discorso. Anche io, ricordando
che le motivazioni delle medaglie al Valor Militare di mio padre nella 1a
guerra mondiale erano di due righe e quella della 2a guerra mondiale erano di
pagine intere. Retorica!. Si era un po’ esagerato, siamo onesti”
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