In questa situazione, nelle more
dell’errore di Alexander di non aver compreso che la direttrice adriatica era
la più redditizia, attirati come sono i comandanti alleati dal miraggio di
arrivare a liberare Roma per primi, come accadde al gen. Clark, ed allo stesso
Alexander, Firenze, per trovarsi poi ai piedi degli Appennini al termine della
stagione estiva, Mazzetti, e non si può non concordare con lui, muove una critica
al Comando del Corpo di Liberazione Italiano. In sostanza si imputa non solo ad
Utili, ma a tutto il suo Stato Maggiore, di non aver afferrato, non solo
l’importanza di non subire perdite, e quello di non correre rischi tipo rovesci
di Montelungo, ma che, data la situazione determinatesi dal vuoto del ritiro
tedesco nel settore adriatico, e, sfruttando gli errori strategico-operativi di
Alexander, era estremamente importante e conveniente che gli Italiani riuscissero a trasformarsi
nella punta di diamante dell’offensiva, prima su Ancona, poi verso la linea
gotica, non solo per questioni morali, ma anche perché la rapidità d’avanzata
sul versante adriatico era essenziale per la fine della guerra in Italia. Non
aver prima compreso e poi attuato questo condiziona tutto l’operato del Corpo
Italiano di Liberazione.
Utili, dopo Filottrano, doveva o
avrebbe potuto in modo fermo, su questa linea di pensiero, insistere presso
Anders, di utilizzare il Corpo Italiano di Liberazione per poter svolgere un
ruolo attivo e fondamentale nella conquista di Ancona. Le posizioni tedesche
sul Monte della Crescia, perno della difesa tedesca, non erano tali da poter
non essere superate, o almeno partecipare insieme ai Polacchi al loro
investimento, e questo avrebbe dato un ampio lustro sia al Corpo Italiano di
Liberazione che all’Italia.
Queste riflessioni, naturalmente, non
cambiano il corso della storia, ma voglio sottolineare che il C.I.L., dopo
Filottrano abbia perso una occasione, quella di essere protagonista per la
presa di Ancona, in quando vi erano spazi per questo. Ma troppo debole era il
tessuto tattico-operativo a cui si proveniva, troppo labile il potere del
maresciallo Messe, Capo di Stato Maggiore Generale e ancora più debole il
potere politico. Non si poteva rischiare quel poco che Filottrano aveva dato in
termini di prestigio, imvestendolo in azioni di ampia redditività
politico-strategica, ma ben al di là della difficile situazione in cui il
C.I.L. si dibatteva.
In sostanza, non si è voluto
rischiare e ci si è accontentati di un ruolo subalterno nel quadro delle
operazioni.
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