Di Federico Mammarella
Ricerca: Il Corpo
Italiano di Liberazione da Jesi al Metauro
Oggetto: Intervista
a Franco Del Baldo (Ad Mandinel)
Granarola
(Gradara), Lunedì 2 Maggio 2016
“La mia
famiglia aveva 20 ettari di terra, tutta la vallata sotto al monte di
Granarola; alla fine della guerra, quando i tedeschi si ritirarono contammo ben
133 granate cadute sulla nostra proprietà, con voragini di 5-6 metri l’una e
profonde 2-3 metri. Noi stavamo qui, in questa casa, ma a fine agosto un gruppo
di tedeschi ci mandò via e vi si insediò, piazzando anche un cannone di
contraerea. Noi dovemmo quindi sfollare sul monte, nelle grotte sopra via San Savino, vicino alla vecchia casa dei
Mauri.
Tutte le famiglie di questa parte (nord-est)
del paese sfollarono in queste grotte, mentre quelle verso la chiesa si
rifugiarono nelle grotte sotto al castello, dal lato verso Cattolica.
Quando cominciarono i
bombardamenti alleati sulla zona, noi eravamo già sfollati, lasciando quindi
campo libero alle truppe tedesche che potevano così controllare l’intera zona
fino verso Tavullia-Borgo Santa Maria[1].
Essendo sul finire
dell’estate, avevamo preparato i covoni del grano e aspettavamo il momento
adatto per trebbiarli, ma l’avanzata del fronte alleato e la ritirata sulla
linea difensiva dei tedeschi ci impedì di completare i lavori, cosicché tutti i
covoni rimasero lì.
Quando ricevemmo l’ordine di sfollare, ci raggiunsero nelle
grotte anche un nostro zio di Gabicce ed un amico, pescatore, di Cattolica: mio
zio portò con se la sua Fiat Balilla ed
una motocicletta, mentre il pescatore portò 10
quintali di tonno come scorta. Si decise di nascondere tutto sotto ai
covoni, ai quali aggiungemmo due cassoni di farina e, vicino, posizionammo
anche i gabbioni dei conigli, con circa 50-60 animali dentro.
Nelle grotte eravamo al
sicuro dai bombardamenti, essendo in aperta campagna e completamente invisibili
dall’alto, mentre rimanere nelle case sarebbe stato più pericoloso, anche
cercando di rispettare il coprifuoco, dal momento che una minima fiammella
poteva diventare un facile bersaglio per i bombardieri inglesi. Ma, anche se
eravamo al sicuro dalle bombe che piovevano dal cielo, non eravamo al sicuro
dai tedeschi: infatti questi rastrellavano continuamente la zona in cerca di
uomini adulti da arruolare nelle fila della Todt[2] e inviarli sul
fiume Foglia per scavare le trincee
anticarro e fortificare le difese.
Con noi c’erano circa una ventina di uomini,
e i tedeschi in qualche modo vennero a saperlo. Un giorno vedemmo salire verso
la grotta una pattuglia di soldati, che puntavano verso di noi, sicuramente in
cerca di questi uomini. Per salvarli, le donne escogitarono il seguente piano:
fecero stendere tutti gli uomini sul fondo della grotta, e sopra vi
posizionarono delle coperte e dei tappeti, sulle quali esse si sedettero,
mettendosi a fare i loro lavori da massaia. Quando i tedeschi soldati
arrivarono, cercarono dappertutto, ma non riuscendo a trovarli, se ne andarono
senza successo.
Vicino casa, giù nella
vallata, il cannone di contraerea intanto continuava a sparare. Un giorno
riuscì a colpire un velivolo alleato che cadde poi nella zona di Santa Maria delle Fabbrecce (Pesaro).
Nella galleria del treno (la tratta Ancona-Bologna), invece, i
fascisti avevano nascosto armi e munizioni. I bombardieri inglesi, avendo
intuito la cosa, cominciarono a bersagliare continuamente la galleria, ma
essendo abbastanza ben protetta dallo strato superiore di terra, non riuscirono
a farla saltare: gli aerei arrivavano in picchiata dal lato nord (lato Gradara); a circa 1,5 Km sganciavano gli ordigni, che
arrivavano a colpire le immediate vicinanze della galleria per forza d’inerzia:
vennero ritrovate traversine e pezzi di binari fino a circa 1 Km di distanza a causa delle
esplosioni, ma le polveri e le munizioni non furono mai colpite.
Il bivio per Santo Stefano era presidiato da un carro
armato tedesco: un giorno esso venne cetrato in pieno dall’aviazione inglese e l’equipaggio
cercò dia mettersi in salvo ma uno di loro non vi riuscì. Quando quella sera
scendemmo dal monte per andare a vedere da vicino cosa fosse successo, vidi la
scena più brutta di tutta la mia vita: a tredici anni mi trovai davanti il
corpo di quel soldato tedesco, bruciato vivo, morto tra le fiamme scaturite
dall’esplosione. Non ho mai più
dimenticato quella scena, e ancora oggi me la ricordo come fosse ieri.
Finalmente, tra il I e
il 2 settembre, gli alleati riuscirono a sfondare la Linea a quota 204, nei
pressi di Pozzo Alto, arrivando sul Conca il 2 stesso, facendo ritirare i
tedeschi al di là del fiume, dove si trincerarono: Granarola era ormai fuori
dai combattimenti diretti. Ma, prima di ritirarsi, i tedeschi compirono le
ultime “eroiche” gesta: quel giorno, spirava un forte vento di maestrale, così
i soldati in ritirata pensarono bene di appiccare il fuoco ai primi covoni al
margine della proprietà, che con il vento a favore, ben presto si propagò a
tutti gli altri, scatenando un inferno di fuoco e fiamme, bruciando ogni cosa e
tutto ciò che vi avevamo nascosto: tonno, Balilla, motocicletta… i covoni
bruciarono tutto il giorno, e la mattina successiva, quando scendemmo per
controllare l’entità dei danni, i midul ( il bastone centrale del covone)
bruciavano ancora, e girando per quell’inferno, ritrovammo anche i gabbioni dei
conigli, che purtroppo non erano riusciti a salvarsi, chiusi dalla rete
metallica…
Quando sfollammo,
avevamo con noi anche una cavalla con la sua puledrina, che portammo con noi su
alle grotte. Ma i tedeschi, in ritirata, ci sequestrarono la cavalla,
lasciandoci la puledra. Qualche anno dopo, a guerra finita, andammo alla Fiera di San Gregorio a Morciano di Romagna, l’antica fiera
degli animali, e portammo con noi la puledra, che nel frattempo era diventata
una bella cavalla; all’improvviso la cavalla si imbizzarrì e sparì. La
ritrovammo più tardi assieme ad un’altra vecchia cavalla: sua madre. Quei
soldati che la portarono via, probabilmente poi la persero durante i frenetici
giorni della ritirata, e i due animali, annusandosi, si riconobbero subito,
nonostante gli anni passati e non fu più possibile separarle, tanto che dovemmo
ricomprare la nostra vecchia cavalla”
Ecco la storia di
Franco.
Finito di raccontare,
l’ho ringraziato, tendendogli la mano e lui me la strinse con forza, dicendomi:
«Sono io che ringrazio te. E’ bello vedere un giovane come te che si interessa
alla storia di noi anziani e alla storia del nostro paese! Tu devi sapere che
la mia generazione ha vissuto un periodo di cambiamento estremo, che io definisco
RIVOLUZIONE. Quando ero piccolo, ho
arato questa terra con l’aratro in legno, lo stesso attrezzo usato fin dai
tempi di Cristo, sempre uguale, senza innovazioni. Quando arrivò il primo
aratro in ferro, con il vomere e le ruote, sembrò un cambiamento epocale. Ora
abbiamo da poco comprato la nuova vendemmiatrice elettronica. Dimmi tu se questa
non è una rivoluzione?»
[1] Dopo la
presa di Montecassino (17 maggio 1944) e l'ingresso a Roma (4 giugno) da parte
degli alleati, le armate tedesche in Italia si ritirano verso nord per
attestarsi lungo la "Grüne Linie" (Linea Verde), più conosciuta col
nome di "Linea Gotica": una fitta rete di fortificazioni che corre
dal Tirreno (Grosseto) all'Adriatico (Pesaro) tagliando in due l'Italia, basata
sul concetto di "difesa in profondità", che terrà fermo il fronte
italiano per otto mesi. Fonti: http://www.lineagotica.eu/news.php?idk=9
[2]
L'Organizzazione Todt (OT) fu una grande impresa di costruzioni che operò,
dapprima nella Germania nazista, e poi in tutti i paesi occupati dalla
Wehrmacht impiegando il lavoro coatto di più di 1.500.000 uomini e ragazzi.
Creata da Fritz Todt, Reichsminister für Rüstung- und Kriegsproduktion
(Ministro degli Armamenti e degli Approvvigionamenti), l'organizzazione operò
in stretta sinergia con gli alti comandi militari durante tutta la Seconda
guerra mondiale. Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_Todt
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