I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

mercoledì 11 novembre 2020

Dizionario minimo della Guerra di Liberazione. Compendio 1943. Prefazione



1943. Compendio. Il presente volume è espressione dell’approccio adottato dagli Autori relativo alla Guerra di Liberazione con cui hanno voluto ricostruire, in modo riassuntivo, gli avvenimenti dei primi quattro mesi della Guerra di Libera- zione, settembre-dicembre 1943. Nel loro approccio è centrale la figura del De- corato, quindi il volume è basato sulla storia personale di ogni decorato al valor militare di questo periodo, sia esso militare che civile. Il quadro generale che ne vie fuori può sembrare disarticolato, ma al termine della lettura ci si accorge che viene fornito un variegato insieme degli innumerevoli eventi che coinvolsero gli Italiani in quei tragici mesi in un tutto armonico rappresentato da quei valori che rappresentano il collante di ogni collettività. Emergono considerazioni che spesso sono poco note oppure ai margini della sinteticità con cui la Guerra di Liberazione viene presentata, in una esposizione non convenzionale. Il volume sottolinea come il Regno d’Italia, rappresentato dalla Monarchia, artefice di questa unità nazionale, e, quindi, portante il retaggio risorgimentale, può scomparire da un momento all’altro, tenuto in vita solo dalla volontà degli Alleati che vogliono dare valore alla firma apposta sotto gli accordi armistiziali e quindi presentarsi agli Italiani, in Italia, con i caratteri della legittimità. Tutte le loro azoni sono di conseguenza giustificate, sono i “liberatori”, ovvero hanno vinto la battaglia propagandistica e portano il futuro. Le opposizioni individuali al tedesco sono si eroiche e significative, ma fine se stesse. Non sono altro che incidenti per le truppe tedesche, che vi danno poco peso; elementi da eliminare, in quanto ostili, ma non un reale pericolo; le stesse Quattro Giornate di Napoli sono fine a sé stesse: non vi è un piano, non vi è un comando non vi sono truppe combattenti; solo spontaneità nei confronti di una situazione non accettata, quindi una rivolta, non una opposizione. Il disarmo delle forze armate italiane, pur nella sua variegata esposizione, sia in Italia che all’Estero, pone in modo indiretto il quesito del perché i tedeschi ebbero una così facile vittoria. Dopo 39 mesi di sconfitte, umiliazioni, illusioni e quant’altro si può solo aggiungere che i soldati italiani erano esausti, disillusi, traditi e. forse, cedere le armi era la soluzione migliore per porre fine a tanto sfacelo; in realtà non risolveva nulla, aprendo nuovi scenari ancora più tragici. La mancanza di ordini è ingiustificabile; tutte le carenze dei vertici possono essere studiate, ma davanti ad una compattezza ed una determinazione di Comandanti decisi certamente la vittoria tedesca non sarebbe stata di così vaste proporzioni. Si apre il tema, proposto da Zangrandi, degli accordi da parte del ristretto vertice politicomilitare, inconfessabili, con i tedeschi, e tutto quello che si deve ancora sapere su questo versante della crisi armistiziale, che in gran parte giustifica la rabbia espressa dagli stessi tedeschi contro questi italiani, incapaci di fare qualcosa, anche quello di portare l’Asse ad un tavolo di una pace generale e porre fine alla guerra. Basti pensare alla vicenda Gambara, e non solo a questa, per avere motivo di ri- flessione, che il volume tratta diffusamente La Resistenza all’estero, dove, dopo l’azione prima del Presidente Pertini poi del Presidente Ciampi, è diventata di monito generale attraverso i fatti di Cefalonia; una Resistenza sempre nota a chi voleva leggere e sapere ma nascosta alla massa e non utile al politico del momento e quindi accantonata fino agi anni Novanta 7 in quanto vi era l’anatema lanciato contro l’esercito, ritenuto complice del fascismo e quindi indegno di assurgere a resistente. Ma accanto a Cefalonia, ci sono vicende come la liberazione della Corsica da parte degli Italiani (700 Caduti e migliaia di feriti) come le vicende della Divisione Perugia in Albania in armi fino al 3 ottobre 1943 e praticamente disarmata da un ordine del Comando Supremo Italiano con sede a Brindisi; oltre a quelle delle isole Jonie a quelle delle isole dell’Egeo, in cui con Lero si manifesta la volontà tedesca di controllare il Mediterraneo Orientale e l’errore degli Alleati di non credere agli italiani perdendo posizioni strategiche di rilievo. Una lettura non convenzionale porta a considerazioni che coinvolgono anche la capacità operativa dei generali alleati, anche loro non immuni da errori macroscopici come i loro colleghi italiani. Le vicende della prigionia infine sono totalmente sconosciute, essendo nella coscienza militare e nella pubblica opinione italiana ancora perdurate l’anatema dannunziano del prigioniero di guerra come peccatore mortale contro la Patria. Nulla si sa di costoro, nulla del loro contributo, nulla dei loro sacrifici, non perché non si sia scritto o pubblicato, perché ci si rifiuta di trattare questo argomento. Non per altro nessuna medaglia d’oro è stata concessa per atti di eroismo compiuti in prigionia nella seconda guerra mondiale. Nel campo avverso della Guerra di Liberazione, la coalizione hitleriana, vediamo come la Repubblica Sociale Italiana, oggi mitizzata dall’approccio dei “ragazzi di Salò dimenticati”. Gli eroi puri e duri fedeli fino all’estremo, emerge come pochi capi, giocando sulle parole, disprezzino la vita di chi crede in loro. I violentissimi scontri tra Pavolini, Ricci, Graziani, Buffarini Guidi, che distruggono la remota possibilità di creare se non le forze armate, almeno un esercito piccolo ma utile alla coalizione hitleriana, che dia credibilità ad una repubblica che è tale solo sulla carta: senza amministrazione, senza esercito, senza territorio, senza economia. Un fallimento totale anche questo. La vicenda delle quattro divisioni in addestramento in Germania è un dramma nel dramma. Ci sarà stato pure un motivo per cui i guerrieri di Salò non abbiano avuto dai tedeschi il via libera di combattere gli anglo-americani al fronte, eppure i tedeschi stessi ne avevano estremo bisogno di forze combattenti. I giudizi che i vari Wolff, Rahn Dollmann davano dei fascisti di Salò deve far riflettere, come deve far riflettere l’atteggiamento di Mussolini in tutti i suoi 600 giorni di capo di una repubblica: non scegliendo, non prendendo mai posizione, lasciando che la zuffa fra i suoi ministri e diretti collaboratori sia permanente e continua, otteneva il solidificarsi della sua posizione personale, ma in pratica distruggeva, come ha distrutto, la Repubblica. Una repubblica che vo- lava “socializzare”, portare l’operaio ed il contadino al centro del processo eco- nomico, in piena guerra, eliminare il capitale e le classi agiate per creare uno Stato cooperativo che avrebbe troncato con ogni retaggio risorgimentale tranne invocando Mazzini ed i Fratelli Bandiera, in quella versione progressista e democratica che per venti anni aveva non solo rinnegata ma duramente repressa. Era il ritorno alle origini che si tradusse in una lotta senza quartiere violenta crudele spietata, inutile, non solo contr gli oppositori dichiarati, ma contro il popolo tutto, che fu il lievito fecondo della resistenza ribellistica. Quanto sopra vuole essere un primo e sommario elenco degli spunti che il com- pendio propone. Questo volume vuole presentarsi come una opportunità offerta al lettore per una lettura e quindi per delle riflessioni non convenzionali, fuori dalle griglie di interpretazioni parziali di uno dei periodi più difficili e tormentati della nostra storia recente, che, peraltro, sono la matrice della architettura socio8 politico-economica della collettività in cui viviamo. Cadere come caddero i nostri padri ed i nostri nonni nelle spire di capi che annunciavano dottrine e politiche altisonanti per poi nella pratica dimostrate di essere vili, ignavi, estremisti, incapaci, tesi solo alla loro brama di potere personale potrebbe essere una chiave di lettura del perché il popolo italiano, fecondo in tutte le sue espressioni, non riesce ad esprimere, ora come allora, una classe dirigente degna di questo nome. Il Collegio dei Redattori Rivista QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO

Nessun commento: