1943.
Glossario. Come il Compendio, anche il presente volume è espressione
dell’approccio adottato dagli Autori relativo alla Guerra di Liberazione con
cui hanno voluto ricostruire, in modo riassuntivo, gli avvenimenti dei primi
quattro mesi della Guerra di Liberazione, settembre-dicembre 1943. Nel loro
approccio è centrale la figura del Decorato, quindi il volume è basato sulla
storia personale di ogni decorato al valor militare di questo periodo, sia esso
militare che civile. Il quadro generale che ne vie fuori può sembrare
disarticolato, ma al termine della lettura ci si accorge che viene fornito un
variegato insieme degli innumerevoli eventi che coinvolsero di Italiani in quei
tragici mesi in un tutto armonico rappresentato da quei valori che
rappresentano il collante di ogni collettività.
Emergono
considerazioni che spesso sono poco note oppure ai margini della sinteticità
con cui la Guerra di Liberazione viene presentata, in una esposizione non
convenzionale.
Il volume sottolinea come il Regno d’Italia,
rappresentato dalla Monarchia, artefice di questa unità nazionale, e, quindi,
portante il retaggio risorgimentale, può scomparire da un momento all’altro,
tenuto in vita solo dalla volontà degli Alleati che vogliono dare valore alla
firma apposta sotto gli accordi armistiziali e quindi presentarsi agli
Italiani, in Italia, con i caratteri della legittimità. Tutte le loro azoni
sono di conseguenza giustificate, sono i “liberatori”, ovvero hanno vinto la
battaglia propagandistica e portano il futuro.
Le
opposizioni individuali al tedesco sono sì eroiche e significative, ma fine se
stesse. Non sono altro che incidenti per le truppe tedesche, che vi danno poco
peso; elementi da eliminare, in quanto ostili, ma non un reale pericolo; le
stesse Quattro Giornate di Napoli sono fine a sé stesse: non vi è un piano, non
vi è un comando non vi sono truppe combattenti; solo spontaneità nei confronti
di una situazione non accettata, quindi una rivolta, non una opposizione.
Il
disarmo delle forze armate italiane, pur nella sua variegata esposizione, sia
in Italia che all’Estero, pone in modo indiretto il quesito del perché i
tedeschi ebbero una così facile vittoria. Dopo 39 mesi di sconfitte,
umiliazioni, illusioni e quant’altro si può solo aggiungere che i soldati
italiani erano esausti, disillusi, traditi e. forse, cedere le armi era la
soluzione migliore per porre fine a tanto sfacelo; in realtà non risolveva
nulla, aprendo nuovi scenari ancora più tragici. La mancanza di ordini, tutte
le carenze dei vertici possono essere studiate, ma davanti ad una compattezza
ed una determinazione di Comandanti decisi certamente la vittoria tedesca non
sarebbe stata di così vaste proporzioni. Si apre il tema, proposto da
Zangrandi, degli accordi da parte del ristretto vertice politico-militare,
inconfessabili, con i tedeschi, e tutto quello che si deve ancora sapere su
questo versante della crisi armistiziale, che in gran parte giustifica la
rabbia espressa dagli stessi tedeschi contro questi italiani, incapaci di fare
qualcosa, anche quello di portare l’Asse ad un tavolo di una pace generale e
porre fine alla guerra. Basti pensare alla vicenda Gambara, e non solo a
questa, per avere motivo di riflessione, che il volume tratta diffusamente
La
Resistenza all’estero, dove, dopo l’azione prima del Presidente Pertini poi del
Presidente Ciampi, è diventata di monito generale attraverso i fatti di
Cefalonia; una Resistenza sempre nota a chi voleva leggere e sapere ma nascosta
alla massa e non utile al politico del momento e quindi accantonata fino agi
anni novanta in quanto vi era l’anatema lanciato contro l’esercito, ritenuto
complice del fascismo e quindi indegno di assurgere a resistente. Ma accanto a
Cefalonia, ci sono vicende come la liberazione della Corsica da parte degli
Italiani (700 Caduti e migliaia di feriti) come le vicende della Divisione
Perugia in Albania in armi fino al 3 ottobre 1943 e praticamente disarmata da
un ordine del Comando Supremo Italiano con sede a Brindisi; oltre a quelle
delle isole Jonie a quelle delle isole dell’Egeo, in cui con Lero si manifesta
la volontà tedesca di controllare il Mediterraneo orientale e l’errore degli
Alleati di non credere agli italiani perdendo posizioni strategiche di rilievo.
Una lettura non convenzionale porta a considerazioni che coinvolgono anche la
capacità operativa dei generali alleati, anche loro non immuni da errori
macroscopici come i loro colleghi italiani.
Le
vicende della prigionia infine sono totalmente sconosciute, essendo nella
coscienza militare e nella pubblica opinione italiana ancora perdurate
l’anatema dannunziano del prigioniero d guerra come peccatore mortale contro la
Patria. Nulla si sa di costoro, nulla del loro contributo, nulla dei loro
sacrifici, non perché non si sia scritto o pubblicato, perché ci si rifiuta di
trattare questo argomento. Non per altro nessuna medaglia d’oro è stata
concessa per atti di eroismo compiuti in prigionia nella seconda guerra
mondiale.
Nel
campo avverso della Guerra di Liberazione, la coalizione hitleriana, vediamo
come la Repubblica Sociale Italiana, oggi mitizzata dall’approccio dei “ragazzi
di Salò dimenticati”. Gli eroi puri e duri fedeli fino all’estremo, emerge come
pochi capi, giocando sulle parole, disprezzino la vita di chi crede in loro. I
violentissimi scontri tra Pavolini, Ricci, Graziani, Buffarini Guidi, che distruggono
la remota possibilità di creare se non le forze armate, almeno un esercito
piccolo ma utile alla coalizione hitleriana, che dia credibilità ad una
repubblica che è tale solo sulla carta: senza amministrazione, senza esercito,
senza territorio, senza economia. Un fallimento totale anche questo. La vicenda
delle quattro divisioni in addestramento in Germania è un dramma nel dramma. Ci
sarà stato pure un motivo per cui i guerrieri di Salò non abbiano avuto dai
tedeschi il via libera di combattere gli anglo-americani al fronte, eppure i
tedeschi stessi ne avevano estremo bisogno di forze combattenti. I giudizi che
i vari Wolff, Rahn Dollmann davano dei fascisti di Salò deve far riflettere,
come deve far riflettere l’atteggiamento di Mussolini in tutti i suoi 600
giorni di capo di una repubblica: non scegliendo, non prendendo mai posizione,
lasciando che la zuffa fra i suoi ministri e diretti collaboratori sia
permanente e continua, otteneva il solidificarsi della sua posizione personale,
ma in pratica distruggeva, come ha distrutto, la Repubblica. Una repubblica che
volava “socializzare”, portare l’operaio ed il contadino al centro del processo
economico, in piena guerra, eliminare il capitale e le classi agiate per creare
uno Stato cooperativo che avrebbe troncato con ogni retaggio risorgimentale
tranne invocando Mazzini ed i Fratelli Bandiera, in quella versione
progressista e democratica che per venti anni aveva non solo rinnegata ma
duramente repressa. Era il ritorno alle origini che si tradusse in una lotta
senza quartiere violenta crudele spietata, inutile, non solo contr gli
oppositori dichiarati, ma contro il popolo tutto, che fu il lievito fecondo
della resistenza ribellistica.
Quanto
sopra vuole essere un primo e sommario elenco degli spunti che il compendio
propone. Questo volume vuole presentarsi come una opportunità offerta al
lettore per una lettura e quindi per delle riflessioni non convenzionali, fuori
dalle griglie di interpretazioni parziali di uno dei periodi più difficili e
tormentati della nostra storia recente, che, peraltro, sono la matrice della
architettura socio-politico-economica della collettività in cui viviamo. Cadere
come caddero i nostri padri ed i nostri nonni nelle spire di capi che
annunciavano dottrine e politiche altisonanti per poi nella pratica dimostrate
di essere vili, ignavi, estremisti, incapaci, tesi solo alla loro brama di
potere personale potrebbe essere una chiave di lettura del perché il popolo
italiano, fecondo in tutte le sue espressioni, non riesce ad esprimere, ora
come allora, una classe dirigente degna di questo nome.
Il
Collegio dei Redattori
Rivista QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO