I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

giovedì 24 marzo 2016

Brigata Maiella Parte III Allegato 2


Allegato n. 2

BATTAGLIA DI MONTECAROTTO

Varcato l’Esino eccoci di rincalzo a Poggio San Marcello. La linea di fuoco a circa 3 Km. più a nord ed esattamente a Montecarotto, occupato dal V Plotone
La sera del 27 luglio ci viene dato l’ordine che tutto il nostro plotone deve raggiungere Montecarotto, per rinforzare le posizioni. La partenza è quasi improvvisa; ci da appena il tempo di trangugiare la pasta ancora un po’ cruda, di dare un’occhiata alle varie fotografie che ogni soldato porta con se. È quasi notte, se non le guardiamo ora fino a domani mattina non se ne parla, e chissà se allora avremo ancora la ghirba sana - la partenza e stata così improvvisa; e poi per andare di rinforzo; è impossibile poter credere che troveremo rose senza Spine.
Si provano le armi, si dividono i pesi e le munizioni, e tra un preparativo e l’altro i nostri pensieri volano lontano, volano sulle montagne, ai monti sui quali i nostri cuori hanno lasciato le persone più care, i ricordi più belli le lacrime più amare.

“‘Mamma ritornerò? ” e il pensiero di ogni soldato. Sono sentimentalismi che i soldati non possono non avere.

Ma presto anche questi pensieri abbandonano la nostra mente. Si parte: la strada è breve ma cattiva. Ormai è notte. Man mano che si cammina il chiacchierio fra i soldati diminuisce fino a cessare; le sigarette si spengono e i passi si fanno più cauti.

Il silenzio è rotto solo dal brusio dei grilli e dal lontano gracidare della mitraglia. Strano contrasto tra la vita e la morte. D’un tratto, il sibilo lacerante di tre o quattro granate ci distoglie dai nostri pensieri; ma il tiro è alto... i proiettili cadono lontano da noi. Presto il tiro viene aggiustato e molti colpi cadono sulla strada, per fortuna, senza procurarci perdite. Ora ci tocca ad avanzare a volte strisciando a volte carponi. Il tiro è rabbioso, tambureggiante sebbene una collina ci nasconda, l’artiglieria nemica riesce a seguire ugualmente, come se potesse scorgerci, il nostro cammino. Il fuoco dei mortai ci fa impiegare un tempo maledettamente lungo, infatti arriviamo alle prime case del paese dopo più di due ore dalla nostra partenza.

Una prima sentinella ci dà l’alt. Riconosciutici ci dice di raggiungere l’ospedale dove aveva preso posizione avanzata il capitano Lamb con una decina di uomini.

Per raggiungere il capitano vi e una strada che staccandosi dalla maestra la segue parallelamente in salita per una cinquantina di metri, indi, sempre in ripida salita volge a sinistra e dopo un centinaio di passi vi e l’ospedale.

Avuta questa informazione proseguiamo. Noi della pattuglia di punta precediamo di una decina di metri le squadre che avanzano l’una discosta dall’altra.
Siamo quasi in prossimità della curva quando un’ombra più nera della notte salta fuori dalla scarpata:
 “Alt!”

“Maiella!” [rispondo]
“Avanti Maiella”, in perfetto italiano.

Non abbiamo il tempo neanche di comprendere quello che sta accadendo; ed ecco slanciarsi fuori dalle erbe e dal buio altri soldati; chi di fronte chi di fianco, una voce grida “eiudup” un grido urlato nella notte; e abbiamo subito netta la sensazione di essere caduti in una imboscata, le tenebre ci avvolgono in ogni parte, ed è tremendo sentirsi così spersi nel buio - in una zona del tutto sconosciuta - mentre ombre più scure ci circondano.

La rabbia di essere stati sia pure involontariamente giuocati, non ci ha dato neanche il tempo di sbalordirci, che già siamo nel corpo a corpo con i tedeschi.
È una lotta furibonda, la distanza e diventata minima ed è impossibile adoperare le armi.

Il comandante di plotone maresciallo De Ritis è alle prese con due tedeschi, così anche il vicecomandante Piccoli. Ecco di colpo uno “schmeisser” tedesco dal buio apre il fuoco su amici e nemici, subito altre tre o quattro automatiche leggere sgranano il loro rosario insieme ad uno “Spandau” appostato una decina di metri dietro.

La prima raffica ha il suo funesto effetto, noi del gruppo andiamo a terra di colpo; il comandante e gravemente ferito al petto, il vicecomandante rotola, anch’esso ferito perla scarpata. Un soldato è moribondo colpito al cuore; io illeso mi getto nel fossato tirando qualche colpo.

Le nostre squadre aprono immediatamente un fuoco ordinato e preciso più di quanto la loro posizione sfavorevole lo permetta. Presto tutto intorno è un crepitio di armi automatiche e scoppi di bombe a mano. La sola larghezza della strada mi divide dai tedeschi, e rimpiango di non avere con me delle granate. Il soldato a due metri da me si lamenta invocando la mamma. Il cuore si stringe, a quel nome, anche io penso alla mia mamma, a tutti i miei cari che forse non vedrò mai più.

Dopo qualche minuto il fuoco dirada fino a cessare totalmente. Grande silenzio intorno, un silenzio profondo, pesante, opprimente, il ferito tace forse per tema di essere udito dai tedeschi, forse è morto! Anche i grilli hanno smesso il loro monotono canto.

Tutto è calma; sento il sangue battere nelle tempie infuocato dal caldo di questa notte di luglio. Il ferito tace. Forse la sua mamma lontana pregherà ignara per lui. Si ode un rotolare di sassi che provoca una seconda indemoniata sarabanda di pallottole. Sono solo con due feriti gravi. Il plotone è una ventina di metri indietro, la situazione non è delle più allegre, in questa solitudine con due compagni che non posso aiutare è tutt’altro che confortevole. I nostri nel frat- tempo sono riusciti a spostarsi di fianco cercando di prendere d’infilata i germanici.

Infatti poco dopo i paracadutisti tedeschi visto il loro fianco ormai scoperto incominciano il ripiegamento. Un razzo bianco s’innalza nel cielo di velluto nero spandendo una luce bianca atona sepolcrale che incute un senso di freddo viscido come quello di un serpente.

Immediatamente un centinaio di metri avanti, tre mitraglie pesanti a pallottole esplosive traccianti aprono il fuoco.
Una trafittura all’avambraccio m’indica che sono stato colpito da una scheggia. Cosa da poco per fortuna. Mezz’ora è passata, trasportati i feriti in una casa tentiamo di medicarli cosi come ci è possibile. Il sergente Piccoli e stato fatto prigioniero, il comandante De Ritis ha il petto e la gola dilaniati da una raffica, un soldato: morto invocando la mamma, altri feriti giacciono nel loro sangue e nel loro dolore. Attendiamo gli ordini del colonnello Lewicki. Mi sdraio vicino alla postazione assegnatami e guardando le stelle penso ai miei cari compagni caduti, penso che fra un’ora, domani, e per giorni ancora, altri ne moriranno per difendere questa posizione, già dal nostro sangue bagnata.


Ninno Porecca

(nota redazionale a cura di Federico Mattarella. 
I precedenti posto sono in data 5 febbraio 2016 e 28 febbraio 2016)

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