1. La
battaglia di Monte Lungo.
a. Analisi dei combattimenti:
ricostruzione degli eventi
La battaglia di Monte Lungo rientra nel più ampio quadro
delle operazioni pianificate dal 2° Corpo d’Armata USA, che tra i suoi
obiettivi aveva la conquista del Monte Sammucro, onde consentire l’immissione
delle riserve corazzate verso Cassino per rompere la linea difensiva tedesca.
Il 2° Corpo d’Armata inquadrava: la 36a Divisione di fanteria; la 3a Divisione di fanteria; la 1a Divisione corazzata; supporti di
vario genere, fra i quali la 1a Special Force.
La 36a Divisione aveva il compito di
conquistare Monte Sammucro e l’abitato di San Vittore nel Lazio. Le sue forze,
a parte il 1° raggruppamento, erano dislocate su posizioni raggiunte in
precedenti combattimenti. In particolare:
- il 141°
reggimento fanteria aveva un battaglione su Monte Rotondo;
- il 142°
reggimento fanteria si trovava fra le pendici di Monte Maggiore e l'abitato di
Mignano;
- il 143°
reggimento fanteria era schierato fra Monte Rotondo ed il torrente Ceppagna;
- l'artiglieria
divisionale era arretrata;
- il 443°
battaglione armi di accompagnamento ed il 636° Battaglione anticarro erano
dislocati a Sud di Mignano.
Le forze
tedesche appartenevano alla 29a ed alla 15a Divisione
granatieri (Panzer Grenadier). La dizione "panzer" non deve però
trarre in inganno: si trattava di truppe di fanteria appiedate, ma esperte, che
avevano predisposto con estrema accuratezza le postazioni e gli appostamenti,
blindandoli con traversine e pezzi di rotaia tolti dalla vicina linea
ferroviaria.
Il piano della
36a Divisione prevedeva le seguenti azioni (fig. 5):
- il 141° fanteria
continuava ad occupare Monte Rotondo con il 2° battaglione e doveva appoggiare
l'attacco del 143° reggimento (alla sua destra) con le compagnie di cannoni ed
armi leggere nella valle fra San Pietro e la strada statale n. 6; ad azione
finita doveva passare in riserva;
- il 142° fanteria
doveva mantenere le posizioni su Monte Maggiore e dare il cambio alle forze
speciali impegnate su Monte La Defensa. Doveva anche appoggiare con il fuoco
l'attacco del 1° raggruppamento nell'area compresa fra Monte Lungo e Monte
Maggiore, rastrellare Monte Maggiore ed occupare la linea del torrente Peccia;
- il 143° fanteria
doveva attaccare ad ovest dei pendii meridionali di Monte Sammucro e
conquistare San Pietro con un battaglione. Con un altro battaglione doveva
attaccare lungo il Ceppagna ed occupare Colle Masenardi (ad ovest della sommità
di Monte Sammucro). Doveva inoltre, su ordine, conquistare San Vittore e
l'altipiano a nord e ad est dell'abitato;
- il 1°
raggruppamento doveva, nel settore compreso fra Fosso del Lupo e la strada
statale n. 6, attaccare, conquistare e mantenere Monte Lungo, prendere contatto
con il 143° (alla sua destra) in corrispondenza della curva della statale ed
inoltre respingere eventuali contrattacchi provenienti da nord-ovest.
|
L'attacco
doveva iniziare alle 06.20 (ora H) da parte dei due reggimenti USA, mentre il
1° raggruppamento doveva iniziare l'attacco alle ore H+15. L'artiglieria
divisionale doveva effettuare il fuoco di preparazione fra la ferrovia e la
statale dalle H-30 all'ora H, spostando il tiro su Colle San Giacomo all'inizio
dell'attacco.
Il
443° battaglione armi automatiche doveva appoggiare i due reggimenti USA con priorità
al 143°, sviluppando inoltre fuoco di massa sulla zona di San Vittore.
Il
636° battaglione anticarro doveva appoggiare l'azione del 143° reggimento ed,
eventualmente su richiesta, anche del 1° raggruppamento.
A
Sud-Ovest di Venafro - Presenzano, venivano mantenuti in riserva per l'attacco
a San Vittore il 1° battaglione del 141° ed il 735° battaglione carri.
II
1° raggruppamento aveva ricevuto il compito di conquistare Monte Lungo e
respingere eventuali contrattacchi da Nord Ovest. Va sottolineato che gran
parte degli uomini erano giunti in linea solo cinque giorni prima.
II
Generale Dapino pianificò l'azione articolando il dispositivo in una colonna
d'attacco (principale) costituita dal 67° fanteria (con un battaglione in primo
scaglione ed uno in secondo), per la conquista di Monte Lungo, ed in una
seconda colonna (sussidiaria) costituita dal 51° battaglione bersaglieri.
I
tiri di preparazione per l'attacco erano responsabilità delle artiglierie USA
della 36a Divisione, con il concorso del fuoco delle artiglierie
del 2° Corpo d'Armata. L'artiglieria del raggruppamento doveva solamente
intervenire in appoggio specifico alle colonne d'attacco. A questo primo ordine
di operazione, emanato il 6 dicembre a Maddaloni, ne seguì un secondo, emanato
il 7 dicembre in zona di operazioni, nel quale il Generale Dapino affidava
l'attacco sussidiario sul Colle San Giacomo ad una sola compagnia bersaglieri,
mantenendo il resto del 51° battaglione dietro Monte Rotondo.
In
questo secondo ordine di operazioni l'artiglieria del raggruppamento doveva
effettuare la preparazione dalle H-45 all’ora H nella stessa area delle
artiglierie divisionali USA e poi intervenire in appoggio alle colonne
d'attacco.
La
prima azione su Monte Lungo iniziò la
sera del 7 dicembre, poche ore prima dell’attacco italiano, con le operazioni
per la conquista degli obiettivi sulla destra di Monte Lungo, cioè Monte
Sammucro e il paese di San Pietro. Le truppe della 36a Divisione USA e precisamente il 1°
battaglione del 143° reggimento fanteria, mossero all’attacco della quota 1205
del Sammucro, mentre il 3° battaglione “Rangers” puntava su quota 950.
Conquistati i due obiettivi con un riuscito attacco a sorpresa, le unità
americane venivano ricacciate sulle posizioni di partenza da un contrattacco
tedesco la mattina dell’8 dicembre. Un nuovo duro attacco permetteva al 1°
battaglione di riprendere quota 1205 alla metà di quella mattina, mentre quota
950 era riconquistata dai “Rangers” solo all’alba del giorno successivo, il 9
dicembre. Occupate le quote dominanti il gioco sembrava fatto ma i tedeschi
continuavano a mantenere il controllo della valle grazie alle posizioni
occupate sulle pendici inferiori del Monte Sammucro.
Ciò rese estremamente
difficoltose le operazioni connesse alla conquista del paese di San Pietro. Il
2° battaglione partì all’attacco dell’abitato contemporaneamente al 1°
raggruppamento motorizzato, alle 06.20 dell’8 dicembre ma i fanti USA dovettero
arrestarsi di fronte ad un fuoco di mortai pesanti, artiglierie e mitragliatrici.
Neppure le due compagnie
del 3° battaglione inviate in soccorso del 2° battaglione riuscirono a vincere
la resistenza nemica.
Durante la notte le
posizioni tedesche furono sottoposte a un intenso fuoco d’artiglieria. All’alba
del 9 dicembre fu ripreso l’attacco che si protrasse dalle 7 alle 19 ma con
scarsi risultati. La fanteria fu costretta a tornare sulle posizioni di
partenza lasciando l’artiglieria a bombardare le pressoché inespugnabili
postazioni nemiche.
Nel frattempo, il 1°
raggruppamento motorizzato si preparava ad attaccare all’ora H Monte Lungo,
coperto da una fitta nebbia che impediva l’osservazione del fuoco
dell’artiglieria. Alle 06.20 ebbe inizio l’attacco.
I fanti del 1° battaglione
in primo scaglione cominciarono ad avanzare verso quota 253. Sulla sinistra è
schierata la 2a compagnia bersaglieri che procedé a cavallo della
ferrovia. L’avanzata dei fanti iniziò in condizioni di oscurità e, anche a
causa dell’asperità del terreno, i plotoni italiani si disunirono perdendo la
corretta direzione.
Ciò comportò uno
sfasamento con l’azione combinata del fuoco d’artiglieria. La perdita di tempo
si rivelò ulteriormente penalizzante poiché non consentì di approfittare
dell’oscurità fino in fondo. Nel frattempo il nemico ebbe modo di capire le
intenzioni italiane e di correre ai ripari: i reparti del raggruppamento furono
sottoposti a fuoco sempre più intenso. La nebbia, ancora fitta, protesse gli
uomini della 1a compagnia che scesero velocemente da quota 235.
A ciò si aggiunse un
ulteriore contrattempo: la perdita del collegamento col Comando di battaglione,
assicurato a mezzo di telefono volante. Isolati dal resto del reggimento, i
fanti del 1° battaglione continuarono l’attacco mentre cresceva di intensità il
fuoco nemico.
La compagnia spiegò le
squadre distribuendosi sul terreno grazie all’aumentata visibilità. Il reparto
assunse la formazione di attacco con due plotoni avanzati ed uno di rincalzo. I
tedeschi risposero con un fuoco micidiale di armi automatiche da Monte Maggiore
che provocò numerose perdite fra i bersaglieri: particolarmente esposto risultò
il fianco sinistro del fronte d’attacco del battaglione bersaglieri dove agiva
la 2a
compagnia, presa fra due fuochi. L’improvviso attacco tedesco provocò il vuoto
tra le file della compagnia che in breve tempo perse gran parte dei suoi
effettivi, compresi 4 ufficiali.
Sul Monte Lungo la 1a e la 2a compagnia, seguite dalla 3a di rincalzo, proseguirono l’avanzata.
A questo punto la svolta: la reazione nemica raggiunse l’apice della sua
violenza. Per i fanti del 67° le cose andarono meglio ma non per molto tempo;
ebbe inizio un duello a bombe a mano che vide gli italiani svantaggiati
rispetto ai tedeschi in quanto furono costretti a lanciare le bombe dal basso
verso l’alto e allo scoperto.
Con un ultimo sforzo,
elementi della 1a compagnia riuscirono a conquistare numerose postazioni a
quota 343. A meno di due ore dall’inizio dell’attacco l’obiettivo sembrava
vicino, ma, prima di realizzare un consolidamento sul terreno, gli italiani
furono oggetto di fuoco violento a brevissima distanza.
Di fronte alla reazione
dei tedeschi che passarono al contrattacco, i fanti del 67°, esaurite le scorte
di bombe a mano, furono costretti a ripiegare. La ritirata delle truppe
italiane venne protetta dalle artiglierie del 141° inviate per la circostanza
su Monte Rotondo e dagli obici del 194° e del 155° artiglieria campale che
batterono la sommità di Monte Lungo e in particolare le posizioni a quota 343.
Mentre i resti della 1a e 2a compagnia e della 3a del 1° battaglione rimasta di
rincalzo, vennero ricacciati verso le posizioni di partenza, su quota 253
furono inviate le compagnie 6a e 7a del 2° battaglione che era stato lasciato in secondo
scaglione. Tali unità, notevolmente ridotte nelle forze a causa delle perdite sofferte
per il tiro dei mortai tedeschi, giunsero a quota 253 soltanto verso le 19.30.
Alla fine della giornata il bilancio risultò molto grave sia per le perdite
subite sia per il grado di sfiducia e sconforto in cui versavano le truppe per
l’esito negativo della battaglia, al termine della quale il bilanciò risultò
molto pesante: 47 morti, 102 feriti, 151 dispersi.
In seguito al fallimento
dell'8 dicembre il Comandante della 36a Divisione ripianificò l'azione.
Questa volta, il Generale Walker preparò un piano d’attacco su larga scala,
coordinato e progressivo contro tre obiettivi immediati: San Pietro, Monte
Lungo e San Vittore. Le forze furono sostanzialmente le stesse, con l’aggiunta
del 504° gruppo di combattimento di paracadutisti. Anche la dislocazione delle
unità della 36a Divisione e i settori d'azione ad esse assegnati
rimasero invariati.
Diversa però fu la
concezione della manovra, articolata su più azioni scaglionate nel tempo. Tale
manovra prevedeva l’iniziale attacco alle pendici del Monte Sammucro, un miglio
ad occidente della quota 1205. Una volta conquistato il triangolo costituito
dalle quote 816, 730 e 687, Walker avrebbe circondato San Pietro e cercato di
tagliare ai tedeschi la via della ritirata da Monte Lungo; inoltre avrebbe avuto
truppe in buona posizione per una avanzata verso San Vittore.
Una prima azione,
prevedeva di occupare San Vittore del Lazio con base di partenza su Cascina
Monticello il 15 dicembre, utilizzando il 143° rinforzato da unità carri con il
compito di mantenere il contatto sul lato destro dello schieramento.
La seconda azione,
prevista nella notte fra il 15 ed il 16 dicembre, sarebbe partita da Monte
Maggiore, per occupare con il 142° il Colle San Giacomo e le pendici Ovest di
Monte Lungo.
La terza azione venne
affidata al 1° raggruppamento che, la mattina del 16, avrebbe dovuto attaccare
le quote di Monte Lungo occupando quota 343. L'11° artiglieria doveva
appoggiare l'attacco del 15 dicembre effettuando tiri di neutralizzazione su
Monte Lungo.
|
Questa iniziale
impostazione del piano stabilito dal Generale Walker venne modificata dai fatti
che, per ironia della sorte, si realizzarono diversamente rispetto a quanto
previsto. Il contributo determinante per la vittoria finale venne proprio da
quel fianco sinistro che nei piani doveva agire per ultimo, nella speranza di
poter beneficiare dei progressi degli altri settori.
I reparti del 1°
battaglione del 143° fanteria, operanti su Monte Sammucro e partiti all’attacco
nella notte fra il 14 ed il 15 dicembre, non solo non riuscirono a raggiungere
l’obiettivo ma subirono una durissima lezione dai tedeschi e furono costretti a
ritirarsi sulle posizioni di partenza. La mattina il Generale Walker contava di
aver conquistato i tre colli posti nella parte occidentale del Sammucro, mentre
il battaglione di fanteria non solo aveva fallito il proprio obiettivo, ma era
ridotto a 155 effettivi privi di munizioni. Sorte analoga toccò al 504°
battaglione paracadutisti che dopo un’avanzata di poche centinaia di metri, fu
costretto a tornare sulle posizioni di partenza.
La prima fase dell’azione
che aveva come obiettivo il triangolo del Sammucro, si era conclusa con un
nuovo fallimento. Più o meno analogo fu l’esito della seconda azione, iniziata
alle ore 11 del 15 dicembre come previsto dal piano. Questa volta furono i
carri “Sherman” a subire i duri colpi del nemico: dei sedici carri utilizzati,
solo quattro fecero ritorno alla base di partenza. La situazione relativa ai
fanti del 2° battaglione del 141° fu allo stesso modo drammatica. Partiti
all’attacco alle 12 dello stesso giorno, riuscirono ad avvicinarsi
all’estremità meridionale del villaggio ma qui riuscirono a salvarsi dal fuoco
tedesco solo grazie ad un provvidenziale muretto di pietra dietro il quale trovarono
riparo.
Tra la notte del 15 e
l’alba del 16 dicembre il battaglione, spinto dal Quartier Generale del
reggimento a prendere San Pietro a qualsiasi costo, rientrò sulle posizioni
iniziali con gravissime perdite. Con una forza effettiva di non più di 130
uomini, il 2° battaglione del 141° fanteria rinnovò il tentativo nello stesso
momento in cui il 1° battaglione del 143°, sulla cima del Sammucro, tentava di
nuovo di raggiungere i suoi due obiettivi presso l’estremità occidentale della
montagna. Nessuno dei due battaglioni compì progressi. Nel pomeriggio dello
stesso giorno il 2° battaglione del 141° subì una sconfitta su Monte Rotondo.
La mattina successiva del 17 dicembre, l’esausto 1° battaglione del 143° fu
sostituito dal 1° del 141° e gli uomini si portarono nelle retrovie per
riposare.
La notte del 16 dicembre,
il 142° partì all’attacco dalle pendici di Monte Maggiore e Colle San Giacomo
conquistate nei giorni precedenti: il 2° battaglione puntò verso l’estremità
settentrionale di Monte Lungo, il 1° si diresse verso la parte centrale dello
stesso. Entrambi ottennero un immediato successo. Presero il nemico di
sorpresa, snidarono dalle trincee il battaglione di ricognizione della 29a Divisione Panzer e raggiunsero la
sommità della montagna all’alba.
A questo punto scattò
l’ordine per l’entrata in azione del 1° raggruppamento motorizzato. Alle 07.40
del 16 dicembre il comando tattico dell’unità italiana comunicò al comandante
del 67° reggimento fanteria che il 2° battaglione del142° reggimento aveva
raggiunto le quote 141 e 351 su Monte Lungo e disponeva che il reggimento di
fanteria e il 51° battaglione bersaglieri si tenessero pronti a iniziare
l’attacco secondo i piani prestabiliti. Questi piani erano stati comunicati al
Generale Dapino il 13 dicembre. In base all’ordine di operazione n. 40 della 36a Divisione il raggruppamento italiano
doveva attaccare il mattino del 16, su ordine della Divisione, per prendere e
tenere quota 343 e rastrellare le pendici di Monte Lungo.
Il giorno successivo, il
14 dicembre, il comando del 142° fanteria comunicava che il 1° raggruppamento
motorizzato avrebbe dato il cambio a questo reggimento su ordine del Generale
Comandante la Divisione dopo che il 142° fanteria avrebbe finito di eliminare
ogni resistenza nel suo settore. Sulla base di queste direttive, il Generale
Dapino emanava l’ordine di operazione n. 4 in data 15 dicembre in base al quale
si prevedeva che il 1° raggruppamento motorizzato, inquadrato a sinistra con il
142° fanteria americano e a destra con il 141° fanteria americano, avrebbe
ripreso l’attacco su Monte Lungo.
Il Generale Dapino
specificò che in primo luogo occorreva impadronirsi dell’altura senza
indicazioni di quota, con azioni condotte sui due lati mediante gruppi di
combattimento di fanteria. L’attacco, preceduto da 30 minuti di fuoco
dell’artiglieria, avrebbe dovuto essere appoggiato nel suo svolgimento dal
fuoco delle armi di accompagnamento schierate sulla base di partenza e da
quello delle armi schierate sui pendii di Colle San Giacomo. In un secondo
tempo sarebbe stato necessario puntare su quota 343.
L’obiettivo principale
consisteva nell’effettuazione di azioni condotte da parte di gruppi di
combattimento di bersaglieri provenienti da
Monte Peccia, in stretto contatto con le fanterie che sarebbero partite dalle
pendici meridionali del monte.
Contemporaneamente
si doveva provvedere a mantenere i contatti con il 142° fanteria sulla sinistra
e con il 141° sulla destra rispettivamente con pattuglie di bersaglieri e
fanti. Il piano necessitava di un coordinamento con le unità americane che
agivano sui fianchi del raggruppamento. Gli americani posero alcune limitazioni
all’azione italiana: in particolare, la fanteria non doveva superare nella
propria azione le pendici Nord di Monte Lungo e l ’artiglieria non doveva
eseguire tiri ad Ovest di quota 343 affinché non venissero danneggiate le
colonne del 142° reggimento USA.
Gravi
risultarono i limiti imposti all’artiglieria anche perché all’ultimo momento fu
necessario rinunciare all’aiuto americano. Gli italiani decisero di eseguire la
preparazione con i mortai da 81 del 67° fanteria (12 pezzi) e con un gruppo da
75/18 che prese posizione in una località completamente dominata e scoperta
onde eseguire una serie di tiri d’infilata. Si crearono inoltre due basi di
fuoco con armi di accompagnamento sulla vetta di Monte Rotondo e su Colle San
Giacomo.
La
mattina del 16 dicembre l’artiglieria aprì il fuoco. Alle 08.30 iniziò il tiro
di preparazione che si rivelò subito di grande precisione. L’attacco alle
fanterie ebbe inizio alle ore 09.15. Partirono il 2° battaglione fanteria e una
compagnia del 51° bersaglieri. Il nemico, sotto il tiro di artiglieria,
minacciato dall’azione del 142° fanteria, non offrì questa volta una resistenza
tenace.
Alle
12.30 le prime pattuglie del 2° battaglione del 67° reggimento giungevano sulla
quota 343, mentre più a nord i bersaglieri prendevano contatto sul costone di
Monte Lungo col 142° reggimento fanteria americano.
Questa
volta tutti gli obiettivi assegnati al 1° raggruppamento erano stati raggiunti.
Le perdite si rilevarono relativamente contenute: 6 morti e 30 feriti. Furono
presi 5 prigionieri tedeschi. L'azione della 36a Divisione e,
conseguentemente, quella della raggruppamento si svolsero esattamente come
pianificato e venne coronata da successo (fig. 7).
|
Si ritiene opportuno sottolineare alcuni aspetti
strettamente tecnico-tattici. Il
confronto fra le due pianificazioni della 36a Divisione
(quella dell'8 e quella del 15-16 dicembre) evidenzia che la prima azione fu
pianificata frettolosamente, con traguardi piuttosto lontani ed una non
sufficiente conoscenza del terreno e delle capacità operative dell'avversario
che comportò l'assegnazione al 1° raggruppamento di un compito al di sopra
delle sue possibilità.
In
particolare, al 142° reggimento erano stati assegnati più compiti che esulavano
dalle capacità delle forze dell’unità e che quindi non potevano essere svolti
in contemporanea, ma forse solo in successione di tempo.
Le
informazioni sul nemico sono il secondo punto saliente per comprendere gli
avvenimenti di Monte Lungo; il problema si ricollega ad un’azione definita come
“velo di fuoco” riportata nella lettera di protesta scritta il 10 dicembre dal
Generale Dapino al Comando della 36a Divisione.
Il
1° raggruppamento utilizzò le informazioni fornite direttamente dal Comando del
2° Corpo d’Armata USA che indicavano effettivamente la presenza di un “velo di
fuoco” nemico. Tale reazione sarebbe stata certamente qualcosa di più
consistente per le Divisioni, le Brigate ed i reggimenti chiamati a superarla.
Terzo punto saliente riguarda il piano del Generale Dapino che complessivamente
risultò adeguato alla situazione del momento. La fattibilità di tale piano era
connessa allo sforzo principale della 36a Divisione,
condotto sulla destra del 1° raggruppamento dal 143° reggimento USA. La
valutazione degli scostamenti durante l’azione USA non spettavano al Generale
Dapino ma al Comandante della 36a qualora, azione durante, avesse
ritenuto che gli stessi fossero tali da rendere necessaria l’elaborazione di un
nuovo piano.
Quarto
aspetto saliente riguarda la preparazione dell’artiglieria italiana. In sintesi
anche se tutto si fosse svolto in modo perfetto, il risultato sarebbe stato
quasi lo stesso data la tipologia delle opere campali approntate dai tedeschi
che, di fatto, “azzeravano” l’effetto della singola granata.
Quinto
punto dolente fu la nebbia e la reazione nemica. La parte iniziale dell’azione
(dalle 06.20 alle 09.30) ebbe luogo con scarsa visibilità. Tale fatto, se da un
lato causò qualche ritardo nel movimento, dall’altro consentì di giungere sulle
posizioni avversarie di sorpresa. Intorno alle 09.30 con il diradarsi della
nebbia entrò in gioco la reazione nemica. Almeno inizialmente si trattò di un
colpo d’arresto.
Tale
modalità esecutiva tattica è tutt’ora usata da molti eserciti e consiste nella
concentrazione di tutto il fuoco disponibile sulle linee avversarie in aree
prestabilite. Per portare a compimento un colpo d’arresto è necessario poter
vedere se le truppe avversarie sono presenti nell’area prescelta, pena lo
spreco di risorse. Ciò significa che intorno alle 09.30, sollevatasi la nebbia,
i tedeschi videro le forze del 1° raggruppamento ed effettuarono un colpo
d’arresto sulla 1a e uno sulla 2a compagnia del
1° battaglione del 67°, praticamente distruggendole.
La seconda azione appare più razionale, con una manovra
quasi a tenaglia eseguita dai reggimenti statunitensi ed uno sforzo sussidiario
condotto dal 1° raggruppamento mediante un braccio più corto.
Inoltre, occorre sottolineare come nella prima azione il
compito "militare" assegnato al Generale Dapino dal Comandante della
36a Divisione USA doveva essere assolto comunque, e non era
pensabile di posporre l'azione sino a che le truppe non si fossero pienamente
amalgamate.
Nel particolare momento politico era infatti
indispensabile che il Comandante del 1° raggruppamento perseguisse, comunque,
lo scopo che l'Autorità politico-militare nazionale gli aveva assegnato:
entrare in linea a fianco degli americani.
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