I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

mercoledì 26 febbraio 2014

La visita del gen. Ander in Puglia. Video

  Cari amici
ho apportato delle modifiche al precedente filmato inerente la visita del gen. Anders in Puglia come già anticipato in quanto era incompleto.Cari saluti.    
stefano
 
Cliccare qui: 
 
                         https://www.youtube.com/watch?v=c1_qsIZnsMM


Per  ulteriori informazioni: ricerca23@libero.it

lunedì 24 febbraio 2014

Ai Reduci del 4° Reggimento bersaglieri e del 3° Reggimento Alpini


Si chiede testimonianze personali sui combattimenti svoltesi dal 3° reggimento Alpini e dal 4° reggimento bersaglieri. Sopratutto sulla manovra su Santa Maria Nuova.
 contattare:
 massimo coltrinari: via e mail ricerca23@libero.it
(info: corpoitalianodiliberazione.blogspot.com)

oppure inserire un commento a questo post

martedì 11 febbraio 2014

La Battaglia di Montelungo 8 dicembre 1943

1.     La battaglia di Monte Lungo.

a.    Analisi dei combattimenti: ricostruzione degli eventi
La battaglia di Monte Lungo rientra nel più ampio quadro delle operazioni pianificate dal 2° Corpo d’Armata USA, che tra i suoi obiettivi aveva la conquista del Monte Sammucro, onde consentire l’immissione delle riserve corazzate verso Cassino per rompere la linea difensiva tedesca.
Il 2° Corpo d’Armata inquadrava: la 36a Divisione di fanteria; la 3a Divisione di fanteria; la 1a Divisione corazzata; supporti di vario genere, fra i quali la 1a Special Force.
La 36a Divisione aveva il compito di conquistare Monte Sammucro e l’abitato di San Vittore nel Lazio. Le sue forze, a parte il 1° raggruppamento, erano dislocate su posizioni raggiunte in precedenti combattimenti. In particolare:
-       il 141° reggimento fanteria aveva un battaglione su Monte Rotondo;
-       il 142° reggimento fanteria si trovava fra le pendici di Monte Maggiore e l'abitato di Mignano;
-       il 143° reggimento fanteria era schierato fra Monte Rotondo ed il torrente Ceppagna;
-       l'artiglieria divisionale era arretrata;
-       il 443° battaglione armi di accompagnamento ed il 636° Battaglione anticarro erano dislocati a Sud di Mignano.
Le forze tedesche appartenevano alla 29a ed alla 15a Divisione granatieri (Panzer Grenadier). La dizione "panzer" non deve però trarre in inganno: si trattava di truppe di fanteria appiedate, ma esperte, che avevano predisposto con estrema accuratezza le postazioni e gli appostamenti, blindandoli con traversine e pezzi di rotaia tolti dalla vicina linea ferroviaria.
Il piano della 36a Divisione prevedeva le seguenti azioni (fig. 5):
-       il 141° fanteria continuava ad occupare Monte Rotondo con il 2° battaglione e doveva appoggiare l'attacco del 143° reggimento (alla sua destra) con le compagnie di cannoni ed armi leggere nella valle fra San Pietro e la strada statale n. 6; ad azione finita doveva passare in riserva;
-       il 142° fanteria doveva mantenere le posizioni su Monte Maggiore e dare il cambio alle forze speciali impegnate su Monte La Defensa. Doveva anche appoggiare con il fuoco l'attacco del 1° raggruppamento nell'area compresa fra Monte Lungo e Monte Maggiore, rastrellare Monte Maggiore ed occupare la linea del torrente Peccia;
-       il 143° fanteria doveva attaccare ad ovest dei pendii meridionali di Monte Sammucro e conquistare San Pietro con un battaglione. Con un altro battaglione doveva attaccare lungo il Ceppagna ed occupare Colle Masenardi (ad ovest della sommità di Monte Sammucro). Doveva inoltre, su ordine, conquistare San Vittore e l'altipiano a nord e ad est dell'abitato;
-       il 1° raggruppamento doveva, nel settore compreso fra Fosso del Lupo e la strada statale n. 6, attaccare, conquistare e mantenere Monte Lungo, prendere contatto con il 143° (alla sua destra) in corrispondenza della curva della statale ed inoltre respingere eventuali contrattacchi provenienti da nord-ovest.

 























L'attacco doveva iniziare alle 06.20 (ora H) da parte dei due reggimenti USA, mentre il 1° raggruppamento doveva iniziare l'attacco alle ore H+15. L'artiglieria divisionale doveva effettuare il fuoco di preparazione fra la ferrovia e la statale dalle H-30 all'ora H, spostando il tiro su Colle San Giacomo all'inizio dell'attacco.
Il 443° battaglione armi automatiche doveva appoggiare i due reggimenti USA con priorità al 143°, sviluppando inoltre fuoco di massa sulla zona di San Vittore.
Il 636° battaglione anticarro doveva appoggiare l'azione del 143° reggimento ed, eventualmente su richiesta, anche del 1° raggruppamento.
A Sud-Ovest di Venafro - Presenzano, venivano mantenuti in riserva per l'attacco a San Vittore il 1° battaglione del 141° ed il 735° battaglione carri.
II 1° raggruppamento aveva ricevuto il compito di conquistare Monte Lungo e respingere eventuali contrattacchi da Nord Ovest. Va sottolineato che gran parte degli uomini erano giunti in linea solo cinque giorni prima.
II Generale Dapino pianificò l'azione articolando il dispositivo in una colonna d'attacco (principale) costituita dal 67° fanteria (con un battaglione in primo scaglione ed uno in secondo), per la conquista di Monte Lungo, ed in una seconda colonna (sussidiaria) costituita dal 51° battaglione bersaglieri.
I tiri di preparazione per l'attacco erano responsabilità delle artiglierie USA della 36a Divisione, con il concorso del fuoco delle artiglierie del 2° Corpo d'Armata. L'artiglieria del raggruppamento doveva solamente intervenire in appoggio specifico alle colonne d'attacco. A questo primo ordine di operazione, emanato il 6 dicembre a Maddaloni, ne seguì un secondo, emanato il 7 dicembre in zona di operazioni, nel quale il Generale Dapino affidava l'attacco sussidiario sul Colle San Giacomo ad una sola compagnia bersaglieri, mantenendo il resto del 51° battaglione dietro Monte Rotondo.
In questo secondo ordine di operazioni l'artiglieria del raggruppamento doveva effettuare la preparazione dalle H-45 all’ora H nella stessa area delle artiglierie divisionali USA e poi intervenire in appoggio alle colonne d'attacco.
La prima azione su Monte Lungo iniziò la sera del 7 dicembre, poche ore prima dell’attacco italiano, con le operazioni per la conquista degli obiettivi sulla destra di Monte Lungo, cioè Monte Sammucro e il paese di San Pietro. Le truppe della 36a Divisione USA e precisamente il 1° battaglione del 143° reggimento fanteria, mossero all’attacco della quota 1205 del Sammucro, mentre il 3° battaglione “Rangers” puntava su quota 950. Conquistati i due obiettivi con un riuscito attacco a sorpresa, le unità americane venivano ricacciate sulle posizioni di partenza da un contrattacco tedesco la mattina dell’8 dicembre. Un nuovo duro attacco permetteva al 1° battaglione di riprendere quota 1205 alla metà di quella mattina, mentre quota 950 era riconquistata dai “Rangers” solo all’alba del giorno successivo, il 9 dicembre. Occupate le quote dominanti il gioco sembrava fatto ma i tedeschi continuavano a mantenere il controllo della valle grazie alle posizioni occupate sulle pendici inferiori del Monte Sammucro.
Ciò rese estremamente difficoltose le operazioni connesse alla conquista del paese di San Pietro. Il 2° battaglione partì all’attacco dell’abitato contemporaneamente al 1° raggruppamento motorizzato, alle 06.20 dell’8 dicembre ma i fanti USA dovettero arrestarsi di fronte ad un fuoco di mortai pesanti, artiglierie e mitragliatrici.
Neppure le due compagnie del 3° battaglione inviate in soccorso del 2° battaglione riuscirono a vincere la resistenza nemica.
Durante la notte le posizioni tedesche furono sottoposte a un intenso fuoco d’artiglieria. All’alba del 9 dicembre fu ripreso l’attacco che si protrasse dalle 7 alle 19 ma con scarsi risultati. La fanteria fu costretta a tornare sulle posizioni di partenza lasciando l’artiglieria a bombardare le pressoché inespugnabili postazioni nemiche.
Nel frattempo, il 1° raggruppamento motorizzato si preparava ad attaccare all’ora H Monte Lungo, coperto da una fitta nebbia che impediva l’osservazione del fuoco dell’artiglieria. Alle 06.20 ebbe inizio l’attacco.
I fanti del 1° battaglione in primo scaglione cominciarono ad avanzare verso quota 253. Sulla sinistra è schierata la 2a compagnia bersaglieri che procedé a cavallo della ferrovia. L’avanzata dei fanti iniziò in condizioni di oscurità e, anche a causa dell’asperità del terreno, i plotoni italiani si disunirono perdendo la corretta direzione.
Ciò comportò uno sfasamento con l’azione combinata del fuoco d’artiglieria. La perdita di tempo si rivelò ulteriormente penalizzante poiché non consentì di approfittare dell’oscurità fino in fondo. Nel frattempo il nemico ebbe modo di capire le intenzioni italiane e di correre ai ripari: i reparti del raggruppamento furono sottoposti a fuoco sempre più intenso. La nebbia, ancora fitta, protesse gli uomini della 1a compagnia che scesero velocemente da quota 235.
A ciò si aggiunse un ulteriore contrattempo: la perdita del collegamento col Comando di battaglione, assicurato a mezzo di telefono volante. Isolati dal resto del reggimento, i fanti del 1° battaglione continuarono l’attacco mentre cresceva di intensità il fuoco nemico.
La compagnia spiegò le squadre distribuendosi sul terreno grazie all’aumentata visibilità. Il reparto assunse la formazione di attacco con due plotoni avanzati ed uno di rincalzo. I tedeschi risposero con un fuoco micidiale di armi automatiche da Monte Maggiore che provocò numerose perdite fra i bersaglieri: particolarmente esposto risultò il fianco sinistro del fronte d’attacco del battaglione bersaglieri dove agiva la 2a compagnia, presa fra due fuochi. L’improvviso attacco tedesco provocò il vuoto tra le file della compagnia che in breve tempo perse gran parte dei suoi effettivi, compresi 4 ufficiali.
Sul Monte Lungo la 1a e la 2a compagnia, seguite dalla 3a di rincalzo, proseguirono l’avanzata. A questo punto la svolta: la reazione nemica raggiunse l’apice della sua violenza. Per i fanti del 67° le cose andarono meglio ma non per molto tempo; ebbe inizio un duello a bombe a mano che vide gli italiani svantaggiati rispetto ai tedeschi in quanto furono costretti a lanciare le bombe dal basso verso l’alto e allo scoperto.
Con un ultimo sforzo, elementi della 1a compagnia riuscirono a conquistare numerose postazioni a quota 343. A meno di due ore dall’inizio dell’attacco l’obiettivo sembrava vicino, ma, prima di realizzare un consolidamento sul terreno, gli italiani furono oggetto di fuoco violento a brevissima distanza.
Di fronte alla reazione dei tedeschi che passarono al contrattacco, i fanti del 67°, esaurite le scorte di bombe a mano, furono costretti a ripiegare. La ritirata delle truppe italiane venne protetta dalle artiglierie del 141° inviate per la circostanza su Monte Rotondo e dagli obici del 194° e del 155° artiglieria campale che batterono la sommità di Monte Lungo e in particolare le posizioni a quota 343.
Mentre i resti della 1a e 2a compagnia e della 3a del 1° battaglione rimasta di rincalzo, vennero ricacciati verso le posizioni di partenza, su quota 253 furono inviate le compagnie 6a e 7a del 2° battaglione che era stato lasciato in secondo scaglione. Tali unità, notevolmente ridotte nelle forze a causa delle perdite sofferte per il tiro dei mortai tedeschi, giunsero a quota 253 soltanto verso le 19.30. Alla fine della giornata il bilancio risultò molto grave sia per le perdite subite sia per il grado di sfiducia e sconforto in cui versavano le truppe per l’esito negativo della battaglia, al termine della quale il bilanciò risultò molto pesante: 47 morti, 102 feriti, 151 dispersi.
In seguito al fallimento dell'8 dicembre il Comandante della 36a Divisione ripianificò l'azione. Questa volta, il Generale Walker preparò un piano d’attacco su larga scala, coordinato e progressivo contro tre obiettivi immediati: San Pietro, Monte Lungo e San Vittore. Le forze furono sostanzialmente le stesse, con l’aggiunta del 504° gruppo di combattimento di paracadutisti. Anche la dislocazione delle unità della 36a Divisione e i settori d'azione ad esse assegnati rimasero invariati.
Diversa però fu la concezione della manovra, articolata su più azioni scaglionate nel tempo. Tale manovra prevedeva l’iniziale attacco alle pendici del Monte Sammucro, un miglio ad occidente della quota 1205. Una volta conquistato il triangolo costituito dalle quote 816, 730 e 687, Walker avrebbe circondato San Pietro e cercato di tagliare ai tedeschi la via della ritirata da Monte Lungo; inoltre avrebbe avuto truppe in buona posizione per una avanzata verso San Vittore.
Una prima azione, prevedeva di occupare San Vittore del Lazio con base di partenza su Cascina Monticello il 15 dicembre, utilizzando il 143° rinforzato da unità carri con il compito di mantenere il contatto sul lato destro dello schieramento.
La seconda azione, prevista nella notte fra il 15 ed il 16 dicembre, sarebbe partita da Monte Maggiore, per occupare con il 142° il Colle San Giacomo e le pendici Ovest di Monte Lungo.
La terza azione venne affidata al 1° raggruppamento che, la mattina del 16, avrebbe dovuto attaccare le quote di Monte Lungo occupando quota 343. L'11° artiglieria doveva appoggiare l'attacco del 15 dicembre effettuando tiri di neutralizzazione su Monte Lungo.


 























Questa iniziale impostazione del piano stabilito dal Generale Walker venne modificata dai fatti che, per ironia della sorte, si realizzarono diversamente rispetto a quanto previsto. Il contributo determinante per la vittoria finale venne proprio da quel fianco sinistro che nei piani doveva agire per ultimo, nella speranza di poter beneficiare dei progressi degli altri settori.
I reparti del 1° battaglione del 143° fanteria, operanti su Monte Sammucro e partiti all’attacco nella notte fra il 14 ed il 15 dicembre, non solo non riuscirono a raggiungere l’obiettivo ma subirono una durissima lezione dai tedeschi e furono costretti a ritirarsi sulle posizioni di partenza. La mattina il Generale Walker contava di aver conquistato i tre colli posti nella parte occidentale del Sammucro, mentre il battaglione di fanteria non solo aveva fallito il proprio obiettivo, ma era ridotto a 155 effettivi privi di munizioni. Sorte analoga toccò al 504° battaglione paracadutisti che dopo un’avanzata di poche centinaia di metri, fu costretto a tornare sulle posizioni di partenza.
La prima fase dell’azione che aveva come obiettivo il triangolo del Sammucro, si era conclusa con un nuovo fallimento. Più o meno analogo fu l’esito della seconda azione, iniziata alle ore 11 del 15 dicembre come previsto dal piano. Questa volta furono i carri “Sherman” a subire i duri colpi del nemico: dei sedici carri utilizzati, solo quattro fecero ritorno alla base di partenza. La situazione relativa ai fanti del 2° battaglione del 141° fu allo stesso modo drammatica. Partiti all’attacco alle 12 dello stesso giorno, riuscirono ad avvicinarsi all’estremità meridionale del villaggio ma qui riuscirono a salvarsi dal fuoco tedesco solo grazie ad un provvidenziale muretto di pietra dietro il quale trovarono riparo.
Tra la notte del 15 e l’alba del 16 dicembre il battaglione, spinto dal Quartier Generale del reggimento a prendere San Pietro a qualsiasi costo, rientrò sulle posizioni iniziali con gravissime perdite. Con una forza effettiva di non più di 130 uomini, il 2° battaglione del 141° fanteria rinnovò il tentativo nello stesso momento in cui il 1° battaglione del 143°, sulla cima del Sammucro, tentava di nuovo di raggiungere i suoi due obiettivi presso l’estremità occidentale della montagna. Nessuno dei due battaglioni compì progressi. Nel pomeriggio dello stesso giorno il 2° battaglione del 141° subì una sconfitta su Monte Rotondo. La mattina successiva del 17 dicembre, l’esausto 1° battaglione del 143° fu sostituito dal 1° del 141° e gli uomini si portarono nelle retrovie per riposare.
La notte del 16 dicembre, il 142° partì all’attacco dalle pendici di Monte Maggiore e Colle San Giacomo conquistate nei giorni precedenti: il 2° battaglione puntò verso l’estremità settentrionale di Monte Lungo, il 1° si diresse verso la parte centrale dello stesso. Entrambi ottennero un immediato successo. Presero il nemico di sorpresa, snidarono dalle trincee il battaglione di ricognizione della 29a Divisione Panzer e raggiunsero la sommità della montagna all’alba.
A questo punto scattò l’ordine per l’entrata in azione del 1° raggruppamento motorizzato. Alle 07.40 del 16 dicembre il comando tattico dell’unità italiana comunicò al comandante del 67° reggimento fanteria che il 2° battaglione del142° reggimento aveva raggiunto le quote 141 e 351 su Monte Lungo e disponeva che il reggimento di fanteria e il 51° battaglione bersaglieri si tenessero pronti a iniziare l’attacco secondo i piani prestabiliti. Questi piani erano stati comunicati al Generale Dapino il 13 dicembre. In base all’ordine di operazione n. 40 della 36a Divisione il raggruppamento italiano doveva attaccare il mattino del 16, su ordine della Divisione, per prendere e tenere quota 343 e rastrellare le pendici di Monte Lungo.
Il giorno successivo, il 14 dicembre, il comando del 142° fanteria comunicava che il 1° raggruppamento motorizzato avrebbe dato il cambio a questo reggimento su ordine del Generale Comandante la Divisione dopo che il 142° fanteria avrebbe finito di eliminare ogni resistenza nel suo settore. Sulla base di queste direttive, il Generale Dapino emanava l’ordine di operazione n. 4 in data 15 dicembre in base al quale si prevedeva che il 1° raggruppamento motorizzato, inquadrato a sinistra con il 142° fanteria americano e a destra con il 141° fanteria americano, avrebbe ripreso l’attacco su Monte Lungo.
Il Generale Dapino specificò che in primo luogo occorreva impadronirsi dell’altura senza indicazioni di quota, con azioni condotte sui due lati mediante gruppi di combattimento di fanteria. L’attacco, preceduto da 30 minuti di fuoco dell’artiglieria, avrebbe dovuto essere appoggiato nel suo svolgimento dal fuoco delle armi di accompagnamento schierate sulla base di partenza e da quello delle armi schierate sui pendii di Colle San Giacomo. In un secondo tempo sarebbe stato necessario puntare su quota 343.
L’obiettivo principale consisteva nell’effettuazione di azioni condotte da parte di gruppi di combattimento di bersaglieri provenienti da Monte Peccia, in stretto contatto con le fanterie che sarebbero partite dalle pendici meridionali del monte.
Contemporaneamente si doveva provvedere a mantenere i contatti con il 142° fanteria sulla sinistra e con il 141° sulla destra rispettivamente con pattuglie di bersaglieri e fanti. Il piano necessitava di un coordinamento con le unità americane che agivano sui fianchi del raggruppamento. Gli americani posero alcune limitazioni all’azione italiana: in particolare, la fanteria non doveva superare nella propria azione le pendici Nord di Monte Lungo e l ’artiglieria non doveva eseguire tiri ad Ovest di quota 343 affinché non venissero danneggiate le colonne del 142° reggimento USA.
Gravi risultarono i limiti imposti all’artiglieria anche perché all’ultimo momento fu necessario rinunciare all’aiuto americano. Gli italiani decisero di eseguire la preparazione con i mortai da 81 del 67° fanteria (12 pezzi) e con un gruppo da 75/18 che prese posizione in una località completamente dominata e scoperta onde eseguire una serie di tiri d’infilata. Si crearono inoltre due basi di fuoco con armi di accompagnamento sulla vetta di Monte Rotondo e su Colle San Giacomo.
La mattina del 16 dicembre l’artiglieria aprì il fuoco. Alle 08.30 iniziò il tiro di preparazione che si rivelò subito di grande precisione. L’attacco alle fanterie ebbe inizio alle ore 09.15. Partirono il 2° battaglione fanteria e una compagnia del 51° bersaglieri. Il nemico, sotto il tiro di artiglieria, minacciato dall’azione del 142° fanteria, non offrì questa volta una resistenza tenace.
Alle 12.30 le prime pattuglie del 2° battaglione del 67° reggimento giungevano sulla quota 343, mentre più a nord i bersaglieri prendevano contatto sul costone di Monte Lungo col 142° reggimento fanteria americano.
Questa volta tutti gli obiettivi assegnati al 1° raggruppamento erano stati raggiunti. Le perdite si rilevarono relativamente contenute: 6 morti e 30 feriti. Furono presi 5 prigionieri tedeschi. L'azione della 36a Divisione e, conseguentemente, quella della raggruppamento si svolsero esattamente come pianificato e venne coronata da successo (fig. 7).
Figura 7 - Telegramma del Generale Clark al Generale Dapino
 
 






















Si ritiene opportuno sottolineare alcuni aspetti strettamente tecnico-tattici. Il confronto fra le due pianificazioni della 36a Divisione (quella dell'8 e quella del 15-16 dicembre) evidenzia che la prima azione fu pianificata frettolosamente, con traguardi piuttosto lontani ed una non sufficiente conoscenza del terreno e delle capacità operative dell'avversario che comportò l'assegnazione al 1° raggruppamento di un compito al di sopra delle sue possibilità.
In particolare, al 142° reggimento erano stati assegnati più compiti che esulavano dalle capacità delle forze dell’unità e che quindi non potevano essere svolti in contemporanea, ma forse solo in successione di tempo.
Le informazioni sul nemico sono il secondo punto saliente per comprendere gli avvenimenti di Monte Lungo; il problema si ricollega ad un’azione definita come “velo di fuoco” riportata nella lettera di protesta scritta il 10 dicembre dal Generale Dapino al Comando della 36a Divisione.
Il 1° raggruppamento utilizzò le informazioni fornite direttamente dal Comando del 2° Corpo d’Armata USA che indicavano effettivamente la presenza di un “velo di fuoco” nemico. Tale reazione sarebbe stata certamente qualcosa di più consistente per le Divisioni, le Brigate ed i reggimenti chiamati a superarla. Terzo punto saliente riguarda il piano del Generale Dapino che complessivamente risultò adeguato alla situazione del momento. La fattibilità di tale piano era connessa allo sforzo principale della 36a Divisione, condotto sulla destra del 1° raggruppamento dal 143° reggimento USA. La valutazione degli scostamenti durante l’azione USA non spettavano al Generale Dapino ma al Comandante della 36a qualora, azione durante, avesse ritenuto che gli stessi fossero tali da rendere necessaria l’elaborazione di un nuovo piano.
Quarto aspetto saliente riguarda la preparazione dell’artiglieria italiana. In sintesi anche se tutto si fosse svolto in modo perfetto, il risultato sarebbe stato quasi lo stesso data la tipologia delle opere campali approntate dai tedeschi che, di fatto, “azzeravano” l’effetto della singola granata.
Quinto punto dolente fu la nebbia e la reazione nemica. La parte iniziale dell’azione (dalle 06.20 alle 09.30) ebbe luogo con scarsa visibilità. Tale fatto, se da un lato causò qualche ritardo nel movimento, dall’altro consentì di giungere sulle posizioni avversarie di sorpresa. Intorno alle 09.30 con il diradarsi della nebbia entrò in gioco la reazione nemica. Almeno inizialmente si trattò di un colpo d’arresto.
Tale modalità esecutiva tattica è tutt’ora usata da molti eserciti e consiste nella concentrazione di tutto il fuoco disponibile sulle linee avversarie in aree prestabilite. Per portare a compimento un colpo d’arresto è necessario poter vedere se le truppe avversarie sono presenti nell’area prescelta, pena lo spreco di risorse. Ciò significa che intorno alle 09.30, sollevatasi la nebbia, i tedeschi videro le forze del 1° raggruppamento ed effettuarono un colpo d’arresto sulla 1a e uno sulla 2a compagnia del 1° battaglione del 67°, praticamente distruggendole.
La seconda azione appare più razionale, con una manovra quasi a tenaglia eseguita dai reggimenti statunitensi ed uno sforzo sussidiario condotto dal 1° raggruppamento mediante un braccio più corto.
Inoltre, occorre sottolineare come nella prima azione il compito "militare" assegnato al Generale Dapino dal Comandante della 36a Divisione USA doveva essere assolto comunque, e non era pensabile di posporre l'azione sino a che le truppe non si fossero pienamente amalgamate.

Nel particolare momento politico era infatti indispensabile che il Comandante del 1° raggruppamento perseguisse, comunque, lo scopo che l'Autorità politico-militare nazionale gli aveva assegnato: entrare in linea a fianco degli americani.

lunedì 3 febbraio 2014

La Battaglia di Montelungo

1.    Inquadramento dello scenario politico-strategico.
L’analisi si sviluppa su tre livelli:
a.  il primo analizza la situazione nel teatro Euro-Mediterraneo;
b.    il secondo illustra la situazione politico-strategica italiana;
c.    il terzo descrive la Campagna d’Italia.

a.    Situazione nel teatro Euro-Mediterraneo

Nei quattordici mesi trascorsi dall’arresto dell’avanzata dell’armata corazzata italo - tedesca in Egitto (luglio 1942), alla resa dell’Italia a Cassibile (settembre 1943), le operazioni dell’Asse nel teatro operativo del Mediterraneo non conobbero significativi successi (fig. 1). Dopo la conclusione vittoriosa della Campagna del Nord Africa, tra il 14 e il 24 gennaio 1943, il presidente americano Franklin D. Roosevelt e il Primo Ministro inglese Winston Churchill si incontrarono a Casablanca per tracciare la nuova strategia militare da attuare. Alla fine, nonostante disaccordi sugli obiettivi primari, venne deciso di pianificare ed attuare l'invasione dell'Italia, contando anche sul fatto che tale operazione avrebbe fatto uscire il Paese dal conflitto.
Nell'estate del 1943 la situazione delle forze aero-terrestri dell'Asse sul fronte mediterraneo registrava l’inizio di un sostanziale capovolgimento. In particolare, nel teatro operativo del Mediterraneo, la combinazione delle operazioni Lightfoot e Torch aveva già prodotto l'azzeramento di ogni possibilità operativa dell'Asse che non fosse quella della difesa della penisola italiana, difesa comunque improbabile stante la disparità di uomini e mezzi tra i due blocchi contrapposti.


b.    Situazione politico-strategica italiana
A seguito della destituzione del Capo del Governo Benito Mussolini, avvenuta il 25 Luglio 1943, il re Vittorio Emanuele III affidò i pieni poteri, militari e politici, al suo uomo di fiducia, il Maresciallo Pietro Badoglio.
Nel settembre del 1943 le prospettive di vittoria per la Germania apparivano sostanzialmente compromesse cosicché, per l’Italia, che aveva virtualmente perso la guerra, la resa agli anglo-americani costituiva, di fatto, una scelta obbligata.
Si arrivò così all'8 settembre che, prima di tutto, rappresentò una disfatta morale. Il tessuto connettivo del paese, faticosamente costruito dal 1848 in poi, subì una lacerazione ampia e profonda. La coscienza unitaria della nazione era messa in grave pericolo dalla divisione in due tronconi del territorio nazionale, uno alla mercè degli anglo-americani, l'altro dei tedeschi.
I valori tradizionali, per la cui affermazione e difesa si erano battute intere generazioni ed avevano sacrificato la vita centinaia di migliaia di soldati, persero, nella coscienza di molti, credibilità ed affidabilità (fig. 2).
Quando il Re, il Maresciallo Badoglio, il Generale Ambrosio, il Generale Roatta e gli altri alti Ufficiali ripararono su Brindisi, la catastrofe poteva dirsi quasi compiuta. Divenne totale nei giorni successivi, quando caddero le ultime resistenze nei Balcani, nell'Egeo e nelle isole greche e quando gradualmente venne meno l'illusione, coltivata anche dai comandi alleati, di una sollecita liberazione di Roma.
Casella di testo: Figura 2 - L'armistizioA rendere più critica la situazione fu la ricomparsa di Mussolini che, dimenticato inspiegabilmente dal Governo del Mare-sciallo Badoglio a Campo Imperatore, era stato liberato il 12 settembre dai paracadutisti tedeschi e portato in Germania, da dove, il giorno 15, tramite la radio di Monaco, proclamò la ricostituzione del partito fascista (repubblicano). Il 23 settembre Mussolini, rientrato in Italia, instaurò nel territorio non controllato dagli anglo-americani la Repubblica Sociale Italiana, con capitale Salò, tentando di dare un’impronta politica nazionale all'occupazione tedesca.
Le unità militari italiane, a seguito dell’armistizio, versavano in una situazione di estrema vulnerabilità sia perché erano fortemente disperse e frazionate sia a causa del morale basso e della mancanza di ordini chiari da parte del governo Badoglio. Ciò condusse alla disfatta prima morale e poi fisica delle forze armate italiane fino al loro definitivo scioglimento a seguito dell’armistizio.
Dopo forti pressioni da parte delle forze alleate, il 13 ottobre il Maresciallo Badoglio dichiarò lo stato di guerra alla Germania. Da quel momento gli alleati mutarono la linea politica militare nei confronti dell'Italia che fu invitata a collaborare allo sforzo bellico con la promessa di un più vantaggioso trattamento al termine del conflitto.
Peraltro, all’interno dei Paesi alleati, questa posizione non godeva di una piena condivisione: parte diffusa dell’opinione pubblica non vedeva di buon occhio la possibilità di uno sconto al vecchio nemico. Questa fu una delle ragioni dell’indecisione, da parte alleata, nel consentire un intervento diretto italiano ai combattimenti.

c.    La Campagna d’Italia
La Campagna d’Italia ebbe una differente durata per le parti in conflitto.
Per gli Alleati, durò dallo sbarco in Sicilia delle forze di terra e aviotrasportate anglo-americane al 2 maggio 1945. Mentre per i tedeschi iniziò l’8 settembre 1943 e finì il 2 maggio 1945 (1).
Gli alleati, al momento dello sbarco, disponevano di circa 160.000 uomini divisi in due Armate: la 7a Armata americana al comando del Generale George Smith Patton e l'8a Armata britannica al comando del Generale Bernard Law Montgomery, supportati da 4.000 aerei e 600 carri armati.
Casella di testo: Figura 3 - La Campagna d'ItaliaL'Armata di Patton aveva il compito di conquistare le coste tra Licata e Vittoria, mentre quella di Montgomery doveva prendere le coste tra la penisola di Pachino e Siracusa. A contrastarli si trovavano 230.000 soldati italiani e 40.000 tedeschi.
Gli italiani (al comando del Generale Alfredo Guzzoni) erano raggruppati in quattro divisioni: Aosta, Assietta (di stanza tra Palermo e Trapani), Livorno (di stanza a Caltagirone) e Napoli (di stanza fra Siracusa e Augusta). Numerose inoltre erano le Brigate, le Divisioni e i reggimenti costieri del Regio Esercito.
I 40.000 tedeschi (al comando del Generale Wilhelm Schmalz) erano raggruppati nella Divisione “Hermann Göring”, più altri tre gruppi della 15a Divisione. Il comando delle forze dell'Asse si trovava a Enna.
L'11 luglio, dopo aspri combattimenti, caddero Siracusa e Augusta. In soli 10 giorni la 7a Armata americana e l'8a britannica conquistarono due terzi della Sicilia. Palermo venne pesantemente bombardata e si arrese il 22 luglio e dopo la sua conquista, le unità alleate puntarono su Messina, dove erano di presidio le Divisioni Livorno e Napoli e il XIV Corpo d'Armata tedesco.
Le unità dell'Asse resistettero a Messina fino al 17 agosto, ma dovettero poi ritirarsi varcando lo stretto per riparare in Calabria.
Il 3 settembre 1943, con l'Operazione Baytown, l'8a Armata inglese di Montgomery iniziò l'invasione dell'Italia continentale con i primi sbarchi in Calabria.
L'8 settembre, con l’ufficializzazione dell’Armistizio di Cassibile, l'Italia usciva di fatto dalla guerra.
Le forze tedesche presenti, preparate a questa eventualità, iniziarono le operazioni per l'occupazione dell'Italia, ora Paese nemico.
Il 9 settembre le forze americane sbarcarono a Salerno nell'ambito dell'Operazione Avalanche mentre truppe britanniche occupavano Taranto nell'ambito dell'Operazione Slapstick. Tuttavia, la conformazione collinare e montuosa del terreno e la presenza di numerosi corsi d’acqua, non consentiva una rapida avanzata. Ciò, unitamente, alle varie opere difensive tedesche, determinò di fatto un rallentamento delle operazioni alleate.
Per i restanti mesi del 1943 la Linea Gustav rappresentò il principale ostacolo della progressione alleata verso Nord, bloccandone di fatto lo slancio iniziale (fig. 4).
Casella di testo: Figura 4 - Linee difensive tedescheIl 12 ottobre 1943 il fronte alleato andava dal Tirreno all'Adriatico, da Castel Volturno-Capua Squille fino a Larino Termoli. Due Armate, la 5a americana comandata dal Generale Clark e l'8 a inglese comandata dal Generale Montgomery, per un totale di 18 Divisioni e 6 Brigate, fronteggiarono 13 Divisioni tedesche (10a Armata) sostenute in retrovia (Italia Centro-Nord) da oltre 8 Divisioni (2a Armata). 
I tedeschi, in particolare, avevano previsto due piani per la difesa dell’Italia: quello proposto da Rommel, che segnava una linea difensiva appenninica dal Mar Ligure all’Adriatico, e quello avanzato da Kesselring che non intendeva cedere subito l’Italia centrale per evitare di lasciare basi aeree troppo avanzate agli alleati. Hitler optò per il secondo piano.
Il piano di Kesselring consisteva nello spostamento della linea difensiva più a Sud rispetto alla linea “Gotica”, nel tratto più stretto della Penisola: dalla foce del Garigliano sul Tirreno alla foce del Sangro sull’Adriatico. La ridotta estensione della cosiddetta linea Invernale (o linea “Bernhardt”) di 120-130 km consentiva un minore impiego di forze per approntare le difese.
La battaglia di Monte Lungo s’inquadra proprio nell’ambito dell’offensiva della 5a Armata statunitense, finalizzata a sfondare le linee tedesche nel settore di Cassino, dove era stata organizzata la suddetta linea difensiva che, partendo dalla cittadina di Scauri, attraversava il fiume Garigliano e passando su Monte Lungo e Monte Sammucro, correva sulle alture di Monte Casale, ad est della città di Venafro, e raggiungeva il Mare Adriatico lungo la riva del fiume Sangro.
Nella battaglia, il 1° raggruppamento di fanteria motorizzato ricevette il battesimo del fuoco a fianco delle forze alleate e divenne la prima unità italiana ad entrare in combattimento dopo lo scioglimento delle Forze Armate.
Nelle sue fila furono impiegati poco più di mille uomini; fra loro i giovani studenti universitari del reggimento "Curtatone e Montanara" e gli Allievi Ufficiali dei bersaglieri.





(1)     Per l’Italia si parla più propriamente di Guerra di Liberazione con inizio l’8 settembre 1943 e fine il 25 aprile 1945.