ATTRAVERSO IL PO
E non fu indarno,
o Patria, ne il
sangue né il
morir.
(Cavalotti –
Marcia di Leonida)
Osteria di Longara. Un gruppetto di
case sparse ai margini di una delle infinite strade che fanno della Pianura
Padana un’immensa scacchiera. Per arrivarvi e per uscirne bisogna guadare il
Reno. Ogni tanto qualche macchina si pianta al centro della tranquilla corrente
insensibile al fuoco di fila di moccoli dei conducenti.
Sole e pioggia si alternano sulle
file dei gelsi e sulle mareggiate di frumento. I portaferiti, accampati sulle
sponde del fiume, si sottopongono con rassegnata compiacenza a quelle
irrorazioni. Da tanto tempo non pioveva più ... E appena il sole vince di nuovo
la greve nuvolaglia, si gettano a capofitto a bagnarsi nel fiume malgrado le
acque ancora molto fredde.
La radio porta notizie altisonanti
che non possono lasciarci indifferenti; si seguono con attenzione e con ansia
gli avvenimenti del Nord. Milano, Torino, Genova e tutte le altre città in
attesa dell’arrivo delle truppe Alleate, hanno proclamato l’insurrezione. C’è
lo sfaldamento generale di tutta l’Armata tedesca d’Italia, a cui la irresistibile
puntata offensiva delle truppe motocorazzate britanniche ed americane da Bologna
verso il cuore della Valle Padana, ha dato il colpo di grazia.
Abbiamo scelto bene il 25 aprile
come giorno della riunione oramai tradizionale dei Reparti della Sezione, e lo abbiamo
dichiarato, per decreto collettivo, giorno festivo, ringraziando Dio colla
immancabile Messa al campo.
Poi è la volta di uno di quei ranci
coi fiocchi che alla Sezione hanno fatto epoca: il sacrificio del vitello; le
tagliatelle a cui lavorano con lena tutte le buone massaie di Longara,
impareggiabili nella loro bravura bolognese; i fiaschi originali di vino di
Meleto, ricordo di antichi tempi: infine i balli più o meno clandestini (con
buona pace del Cappellano, che non vede o non vuol vedere) fino a tarda ora.
***
Il giorno dopo però il senso di
ebbrezza che ci danno l’ampio respiro della pianura, l’odore dei campi, il riposo,
le giterelle nei cascinali circostanti, ha una subitanea sospensione. Che si fa
qui? Perché non si continua?
I “si dice” cominciano a correre
con insistenza. Sembra che gli Alleati intendano lasciarci a presidiare
Bologna. Si va a spiare al Comando di Gruppo, ma, ahimè! morale in ribasso. Il
Generale è impenetrabile. Si sa che sta dandosi da fare per dare le ali ai suoi
ed ai nostri desideri, ma non compare nulla di nuovo.
Pare che gli Alleati considerino
insufficienti i nostri mezzi ad una rapida corsa di inseguimento del nemico… Si
dice…si dice…
Tutta la bella gioia di qualche
giorno prima resta mortificata e compressa. Ricominciano le perplessità, le
incertezze, e l’animo vorrebbe quasi ribellarsi.
Nel cortile di Longara, fra
l’andirivieni dei carri di buoi e le oche e le anatre starnazzanti, una visitina del Generale Comandante che non
tradisce mai la sua fiducia, messa a dura prova in occasioni ben più tristi, ai soldati muti ed ansiosi infonde
un po’ di speranza.
E non si tratta solo del sacrosanto
egoismo dei settentrionali che vogliono giungere a casa ad ogni costo; ci sono anche
moltissimi meridionali, ed è una vera passione la loro, che ardono di
continuare la marcia e di andare in su.
Il Generale Utili non si fa sorprendere
dagli avvenimenti ha ottenuto di dare il via alla nuova corsa non appena è riuscito
a riunire le membra sparse della Divisione, non appena ha sufficientemente
serrato sotto con tutti i mezzi ed i servizi indispensabili.
Il 28 aprile, improvviso come un
fulmine, arriva l’ordine di partenza per il giorno successivo.
È vero? Dove si va? A Mantova, per
poi puntare su Isola della Scala. No, si prende la direzione di Brescia. Non si
sta a perder tempo a vedere chi ha ragione (e c’ è stato un momento in cui avevano
ragione gli uni e gli altri); ciò che importa è muoversi purché si passi il Po;
poi da cosa nasce cosa. Per tutta la notte ognuno si affanna a preparare
fagotti, a smontare 1e tende; ognuno suda e lavora a caricare senza brontolii
dì sorta… Al mattino non c’è bisogno di sveglia. Si parte sotto un cielo
imbronciato, ma non ci si bada perché nel cuore dilaga la luce delle più belle
speranze.
Brescia la bella
La colonna si apre faticosamente la
via tra le macerie e le distruzioni della periferia di Bologna; ma appena
giunta sulla via Emilia, accelera la sua andatura. Anche il cielo ha spianato
il suo broncio e ci ritorna il bel sole di aprile fra le campagne fiorite. Non
ci par vero rivedere le vaste coltivazioni senza i crateri delle bombe, senza i
tronconi informi degli alberi mutilati.
Ai margini delle vie accorrono le
popolazioni a farci festa. Giriamo alla periferia di Modena, lasciandoci
indietro a guardarci dall’alto la Ghirlandina. Ecco S. Benedetto Po. Mao mano
che ci avviciniamo al fiume notiamo che aumentano le rovine; vi si sono messi a
gara gli alleati per impedire la ritirata dei tedeschi, i tedeschi per
ritardare l’inseguimento degli Alleati.
Gli argini sono letteralmente
sconvolti, tutti i ponti, per tutta la loro lunghezza, sono stati fatti
saltare.
Passiamo sul ponte a chiatte
gettato con destrezza e rapidità dagli Americani, attraversiamo Mantova
anch’essa gravemente ferita nei suoi tesori storici ed artistici, mentre i laghetti
formati dal Mincio sembrano aggiungere alla loro abituale aria tranquilla, una
nota di tristezza.
Ecco Goito. Intorno un panorama stupendo in
cui si inquadrano i luoghi famosi ove i patrioti del Risorgimento santificarono col sangue
l’ideale dell’Unità Italiana. Da lontano fa cenno la torre coronata di S. Martino
della Battaglia, a cui fa riscontro quella
quadrata dell’ossario di Solferino.
Incomincia a farsi sentire un po' di
stanchezza e col desiderio siamo già a Brescia. Lunghe colonne di prigionieri a
piedi e su autocarri dicono che la massa delle formazioni tedesche ha già ceduto
le armi; ci sono però molti nuclei randagi: prima di entrare a Montichiari una sparatoria
parte dalle finestre di una villa che domina la strada. La colonna si ferma. Un
gruppo di Arditi non pone tempo in mezzo ad eliminare quel focolaio di
resistenza.
Sul fare della sera si entra in
Brescia. Impossibile trovare da accantonarsi; anzi la prudenza consiglia di
stare riuniti intorno alle macchine poiché la persistente sparatoria denuncia
che la situazione non è ancora molto chiara.
Il sonno non si fa pregare a
sorprenderci, mentre alla mente ritorna ancora nel verso Carducciano, l’invocazione
ad una Vittoria d’altri tempi, l’alata Vittoria di Brescia:
“Vorrei
vederti sull’Alpi, splendida
fra le
tempeste, bandir nei secoli:
O popoli, Italia qui giunse
vendicando il suo nome e il diritto”.
Gli ultimi Eroi
Qualcuno è già giunto a tiro di
casa propria; ed in verità disciplina integrale da parte di tutti ed attenzione
e premura da parte del Comando hanno fatto sì che, senza mettere in crisi il
Reparto, tutti potessero fare un volo di ricognizione a casa. Gli altri si
danno a gironzolare, a fare acquisti; le macchine sono sottoposte ad una
pressione inusitata per trasportare con ripetuti viaggi le nostre impedimenta
lasciate a Longara.
Mentre il movimento è in corso
arrivano dei contrordini: autocarri in arrivo a pieno carico non vengono
fermati: si fanno proseguire fino a Bergamo. Si raccoglie tutto il resto e si
continua. Sarà l’ultima nostra tappa, quella definitiva.
Non già però per i veloci
battaglioni che hanno fatto puntate a Milano, a Como, a Torino, ed il loro
ingresso nelle città è salutato con entusiasmo. È stato un sogno da lungo
vagheggiato, è stato un riconoscimento che doveva toccare proprio a quelli del
“Legnano”, perché (perdonino gli altri Gruppi le parole presuntuose e concedano
le comprensibili ataviche parzialità al primogenito) il “Legnano” è il più bel
Gruppo di Combattimento.
E tutti i soldati ne sono tronfi e
vanno pettoruti per le strade e raccontano, raccontano…
Ma un fragore di armi si ode ancora
sulla strada che abbiamo già percorsa.
È un manipolo di arditi che, in
marcia di trasferimento accorre a dare man forte contro una compagnia tedesca
che si difende asserragliata in località Monte Casale.
Con lotta feroce si lanciano all’attacco
annientano la resistenza nemica.
Sulla strada asfaltata che dalle
rive del Garda porta a Brescia, fila veloce un autocarro su cui, tra uomini ancora affannati dalla foga del
combattimento, sono deposti i cinque morti Arditi.
Sono gli ultimi Caduti del “Legnano”,
Caduti ai piedi d elle Alpi, epilogo del valore della marcia iniziata in
Puglia. Sono gli ultimi cavalieri dell’ideale che restano sulla breccia e non
potranno domani lasciare il grido di una Vittoria di cui sono partecipi, non ne
udranno il suono che si diffonderà da invisibili trombe d' argento.
MINISTERO DELLA GUERRA
GABINETTO
ORDINE DEL GIORNO
SOLDATI ITALIANI!
La Patria vi affidò il suo onore:
con onore voi avete conclusa la guerra di liberazione.
In venti mesi di prove durissime,
voi soldati dei Gruppi di Combattimento, dei reparti ausiliari e di tutte le
unità dell’Esercito, voi Volontari della Libertà, a prezzo di sangue, di oscuri
sacrifici e di sublimi eroismi, avete riscattato la Patria.
In questo giorno di esultanza il
nostro pensiero si volge commosso a Coloro che caddero tingendo di vermiglio la
terra nostra e segnando di purissima luce di gloria la nostra ascesa.
Ad Essi, a tutti voi, che accanto
ai valorosi Eserciti Alleati avete concorso alla Vittoria, la Patria è grata.
VIVA L’ITALIA!
IL MINISTRO
Casati
Roma, 2 maggio 1945