I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

giovedì 30 settembre 2021

GIuseppe Fondiduri.

 

IL NONNO RACCONTA …

 

Mi chiamo Giuseppe Fonsdituri, sono nato a Casamassima, un Comune in provincia di Bari, da una famiglia onesta e numerosa, avevo solo 9 anni quando mio fratello Oronzo, decise di partire in guerra, nonostante l’insistente contrarietà dei miei genitori. Oronzo era il terzogenito ed aveva diciannove anni quando partì volontario per il fronte.

Durante la 2^ guerra mondiale (1940-1945) l’Italia si alleò con la Germania nazista e antisemita. I tedeschi si ritenevano un popolo di razza superiore: “ariana”, infatti, gli  italiani divennero succubi e da qui nacque la necessità di insorgere, di liberare il nostro Paese (guerra di liberazione).

Il giorno 8 settembre 1943 partiva da Bari un treno diretto a San Pietro Vernotico (Campania), che trasportava mezzi, e uomini destinati a combattere a fianco degli alleati (americani-francesi-inglesi) contro i tedeschi.

Era il Nucleo di Sanità Motorizzato formato da due reparti:

  • 51^ Sezione di Sanità
  • 1^ Raggruppamento Motorizzato.

Mio fratello Oronzo e il suo compagno Salvatore Carlucci di Putignano facevano parte del primo reparto, erano soldati sanitari catalogati fra le truppe dei servizi, quindi ritenuti meno esposti a rischio, raramente riscuotevano quel riconoscimento dovutogli per la loro operosità sul campo di battaglia.

Seguivano passo passo l’avanzare del fronte, talvolta, dovevano uscire dal ricovero (ospedale da campo) e sotto il tiro incessante del nemico strisciavano sul terreno con foga affannosa, perché sapevano che dove scorreva sangue del “fratello” il tempo era vita e ogni indugio, pur breve, era morte.

A casa, quando, arrivava una lettera dal fronte mia madre piangeva dalla gioia, tutti sedevano intorno a lei e ascoltavamo attentamente ciò che leggeva e fra i saluti e gli abbracci ricordava sempre la sua cagnolina Bellina, che aveva cresciuto sin da piccolo e gli era affezionato.

Il 17 luglio 1944 il XI Reparto d’Assalto compiva una brillante azione a Cingoli, Villastrada e Rustico, mietendo morti, a decine, e feriti, a centinaia. Il rischio di calpestare una mina era alto, non solo per i soldati ma anche per chi soccorreva i feriti.

Era notte inoltrata e una voce chiamava dal terreno minato, dove si aggiravano nemici sbandati, ma duri a cedere. Il soldato, gravemente ferito, l’ardito Oronzo Fonsdituri, lo riconobbe alla voce il suo vecchio Comandante del 1^ Plotone di Fanteria, tenente Piero D’Ercole. Il tenente si accorse a ricercarlo nell’oscurità, lo sollevò e lo portò a braccia di là del fiume, purtroppo il compagno Salvatore Carlucci giaceva a terra, falciato dalle raffiche del mitra avversario.

Dopo quattro giorni di agonia, anche mio fratello soccomberà all’ospedale da campo, in seguito alle gravi ferite riportate al capo, ad un braccio e ad una gamba, in quanto colpito dalle schegge di una mina calpestata dall’amico Salvatore, che camminava un passo avanti a lui. Erano due soldati sanitari che ambirono di fregiarsi delle fiamme azzurre e di imbracciare il mitra.

Si ritrovarono sul campo d’onore col Comandante che ripeteva loro, al momento in cui lasciarono la 51^ Sezione di Sanità e passarono al XI Reparto d’Assalto: <… perché andate via? … anche qui si fa la guerra… anche qui si muore…>

Ricordo che facevo un sogno: io e mio fratello eravamo al paese per la via del cimitero, i cipressi si muovevano al vento che soffiava, dicevo: “Oronzo vieni andiamo a casa”.

Oronzo mi rispondeva: “Non posso, non posso più tornare a casa!” e scompariva nel buio delle tenebre.

La mattina appena mi svegliai raccontai alla mamma dello strano sogno, ma lei amorevolmente mi tranquillizzò subito. Accadde uno strano episodio, da tre giorni Bellina non mangiava e si lamentava, era rintanata nella sua cuccia e ringhiava a chi gli si avvicinava. Al quarto giorno il cane uscì dalla sua cuccia e cominciò ad abbaiare e ululare… per poi spegnersi inspiegabilmente.

In casa si respirava aria di tensione, l’ansia cresceva man mano che passavano i giorni e non arrivavano notizie da parte di Oronzo.

Il 21 luglio 1944, di buon mattino, ricevemmo la visita dei carabinieri che comunicavano la tragica morte del nostro amato Oronzo. C’era una calma apparente, nessuno faceva rumore, ci si evitava a vicenda, quando mia madre cominciò a singhiozzare e poi scoppiò in un pianto straziante tenendo stretto a sé il ritratto di Oronzo.

I miei genitori erano inconsolabili. Ricordo mia madre che spesso si sedeva sul letto, guardava la foto di Oronzo e piangeva e noi fratelli più piccoli a consolarla con gli occhi gonfi di lacrime. Mia madre espresse il desiderio che i resti di suo figlio fossero riportati al paese e, dopo la morte di entrambi i genitori, tumulati con loro.

Tutti i giovani che partirono volontari alla guerra di liberazione, invece di restare a casa ad aspettare, coraggiosamente affrontarono il destino, perché serbavano fede al principio: <un mondo migliore può nascere con Giustizia, Lealtà e Sacrificio>.

Nessun commento: