I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

domenica 17 luglio 2011

Il Corpo Italiano di Liberazione. I Capi


Ubaldo Del Monaco

Il presente contributo necessita di una breve premessa per delineare in modo chiaro ed esauriente il quadro storico di riferimento.
Dopo l’8 settembre, il vertice politico vede, ancora, quale Capo del Governo, il maresciallo Pietro Badoglio. Si avvicenderanno, invece, nella carica di Ministro della Guerra, il generale Antonio Sorice (fino al 15 febbraio 1944), il generale Taddeo Orlando (fino al 17 giugno del 1944) e l’onorevole Alessandro Cassati (fino al 20giugno 1945). Si avvertiva un “vuoto” generale di tutela e di sicurezza, nonché di un totale disorientamento fra le fila dell’esercito, ormai disintegrato sia sul piano organizzativo che morale (comandanti e soldati erano in balìa di se stessi, e cercarono di rientrare alle proprie famiglie).
Dai primi giorni successivi all’armistizio, pertanto, sia il Governo sia i vertici militari italiani, cercarono di convincere gli Alleati dell’opportunità di affiancare alle forze sbarcate in Italia i nuovi reparti italiani in via di costituzione. Gli Alleati, infatti, nutrivano ancora diffidenza e rancore verso gli ex nemici. Non erano pertanto, favorevoli alla collaborazione con le forze militari italiane, per due ordini di ragioni: una di natura politica, perché un’eventuale partecipazione militare sul campo di battaglia avrebbe potuto dare adito a richieste di revisione e di alleggerimento delle clausole stabilite dall’armistizio; l’altra di natura pregiudiziale, legata strettamente alla riserva mentale sull’efficienza e sull’affidabilità delle “nostre truppe” in guerra.Toccava perciò al soldato italiano rimuovere quello scetticismo, affermare il suo effettivo impegno in battaglia, e dimostrare di essere ancora in grado di battersi per un ideale.
L’invito fu infine raccolto e la prova del fuoco giunse poco dopo su Monte Marrone. La sorpresa del Comando Alleato fu pari all’ammirazione. Fioccarono gli elogi e fu il definitivo convincimento per ammettere gli italiani al rango di “cobelligeranti”. Tale successo fu reso possibile anche grazie al carisma di un comandante, il generale Umberto Utili. Egli fu determinante per la riorganizzazione del I Raggruppamento, del quale assunse il comando alla fine del gennaio 1944, ma, soprattutto, per la costituzione, nel successivo mese di marzo, del Corpo Italiano di Liberazione.
Questo elaborato, che si pone l’obiettivo di “passare in rassegna”  i capi militari italiani che si distinsero nei momenti tormentosi conseguenti all’armistizio, non poteva, pertanto, che riservare al generale Utili, una posizione di primissimo piano. Tale considerazione non è frutto di patriottismo, ma delle eccellenti qualità umane e professionali unanimemente riconosciutegli.
Come diceva di lui il generale Antonio Ricchezza, capo ufficio operazioni del C.I.L. e suo stretto collaboratore: <<…Il generale Utili, un uomo assolutamente invulnerabile alle atmosfere depresse, prese in mano le truppe, si dette da fare perché ogni giorno ci fosse un po’più di luce che nel precedente…era l’uomo più adatto a farlo in tutto l’Esercito italiano di allora…>>. Utili era un uomo dalla tempra forte e dal carattere non arrendevole, capace di trasmettere sentimenti alti ai suoi collaboratori. Seppe infondere fiducia e galvanizzare tutti per la nuova impresa che avrebbe onorato le armi italiane.
Il generale, nell’assumere il comando, si rivolse così ai suoi commilitoni: <<…Sono fiero di essere stato destinato a comandarvi…voi avete dato l’esempio generoso ed avete versato il vostro sangue, che è sempre qualcosa di più prezioso delle chiacchiere…Ragazzi in piedi, perché questa è l’Aurora di un giorno migliore…>>. Egli possedeva un intimo senso del dovere e spiccava nel sapersi assumere le sue responsabilità. Erano innati in lui i sani principi dell’onore militare, della disciplina e dello spirito di sacrificio. <<Il generale Utili - come scriveva il generale Paolo Berardi (Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ) - superava per intelligenza, fantasia e volontà la media dei nostri generali. Sapeva di valere, era ipercritico, si prendeva libertà molto spinte di apprezzamenti, e non era “inferiore comodo…>>. L’espressione “eufemistica” del superiore sottolinea l’abitudine del generale a rispondere in modo tranciante agli ordini che non lo persuadevano. Direi che è raro imbattersi in una personalità con il coraggio di dire la sua in un contesto molto poco libero, come quello dell’epoca allo studio. Era un uomo che si reggeva da sé, che si faceva ben volere dai dipendenti, che sapeva imporsi con dignità anche agli Alleati1. Monte Marrone, doveva essere l’emblema della riscossa italiana.
Il generale Utili si avvalse di questo simbolo con la perspicacia e l’intuito tipici dei grandi comandanti. Egli seppe attribuire un grande valore morale a quel fatto d’arme, le cui truppe protagoniste, così valorosamente distintesi, erano in parte ancora ai suoi ordini. Questo degno soldato italiano aveva solo 48 anni, ma un’esperienza incomparabile in combattimento. Era, infatti, insignito di tre medaglie d’argento al valore militare, guadagnate sui fronti dell’Africa orientale, della Grecia e della Russia. L’atteggiamento di “inferiore non di comodo” gli era praticamente costato la carriera: nel 1934 era stato espulso dallo Stato Maggiore, per certe sue critiche sull’avanzamento degli ufficiali.
Questo era Utili: uomo e generale, che per quanto autonomo ed imprevedibile, sentì sempre sul collo le ultime parole rivolte dal Capo di Stato Maggiore Generale Messe ai soldati italiani: <<…Vi affido ad un uomo che sarà avaro del vostro sangue; certo lo spenderà quando sarà necessario, ma mai invano e mai leggermente…>>.
Non meno prezioso, nella “Guerra di Liberazione”, fu il contributo fornito dal Battaglione “Piemonte” degli alpini, al comando del maggiore Alberto Briatore, il quale condusse con lucida strategia, fermezza e determinazione i suoi uomini alla vittoria. Grazie alla sua consumata esperienza di comando, aveva letteralmente rovesciato la situazione materiale e morale del “Piemonte”, portandolo ad un’impresa di guerra di montagna di assoluto valore. Mostrò così palese a tutti (Alleati compresi), la preparazione ed il vigore d’esecuzione del suo reparto in battaglia. Briatore sapeva esaltare il comportamento dei suoi uomini.
Mi piace ricordare, in questo contesto, il memorabile, vibrante elogio, segnalato con un ordine del giorno, inviato all’indomani della battaglia di Monte Marrone : <<…Infliggendo all’orgoglioso nemico una lezione durissima…non vi siete lasciati fiaccare dall’eccezionale sforzo fisico dei trasporti a spalla sul lungo e penoso percorso…ma avete organizzato e vigilato la posizione…>>.
La gloria ed il valore non mancarono neanche a Filottrano, dove il 183° Reggimento  paracadutisti, articolato su due  battaglioni, il XV e il XVI , segnò un’altra epica pagina contro l’occupazione nazista.
L’azione confermò pienamente l’indiscusso valore e la netta ripresa dei  combattenti italiani, esaltando l’eroico comportamento dei paracadutisti, i cui risultati andarono al di là di qualsiasi aspettativa. Al comando del colonnello Giuseppe Quaroni, indiscusso leader carismatico, i parà inflissero al nemico, impaurito e sorpreso dall’inaspettata “apparizione”, perdite gravissime.
 Attento non solo alla preparazione ed alla formazione militare dei suoi “ragazzi”, ai quali era portato a rivolgersi con parole che scaldavano il cuore prima che la mente, il colonnello Quaroni seppe trasmettere a ciascuno il proprio coraggio ed il suo spirito garibaldino, con lo slancio e la tenacia che ne caratterizzavano la  forte personalità. Il suo Reparto, come tipico della tradizione alpina, seppe immedesimarsi alla personalità trainante del suo comandante, mostrando ancora quel valore che ha sempre distinto le nostre truppe di montagna, uomini abituati ad agire in condizioni estreme (in questo caso non solo per l’ambiente).
Questi comandanti, insieme ai soldati di ogni grado, che hanno sacrificato e rischiato la loro vita nella “Guerra di Liberazione”, ci hanno restituito “l’Aurora”, il nostro giorno migliore, donando al nostro Paese la dignità degli uomini liberi, quella libertà di cui , tutti noi godiamo da più di sessant’anni.
Per i comandanti di oggi, questi Ufficiali sono degli esempi di comportamento. Soldati che hanno saputo essere d’esempio in un clima di assoluto abbandono e di crollo improvviso dei valori nei quali si era creduto per lustri. Lo spirito d’iniziativa ed il coraggio sono caratteristiche necessarie dei militari.
Io ritengo che gli Uomini di cui ho parlato abbiano interpretato il loro dovere con dignità e valore. Quel dovere di fedeltà non alle Istituzioni formali, che non avevano retto all’urto dei tempi, ma a quel Popolo di cui erano figli, a quegli Italiani di cui sono giustamente divenuti un modello, nello spirito dell’Italia risorta.

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