Pubblicato nel n. 3 del 2012, n. 38 della Rivista "Il Secondo Risorgimento d'Italia" (www.secondorisorgimento.blogspot.com) ed anche su www.secondorisorgimento.it, l'artcilo di Errico De Gaetano è un interessante esempio di analisi storico e ricostruzione materica. Nel ricordare un eroe della Guerra di Liberazione, Licio Salvagno, De Gaetano riesce a darci l'immagine di come doveva essere l'atmosfera della guerra, sia con lo scritto che con il corredo iconografico. La Rivista "Il Secondo Risorgimento" può essere chiesta a "risorgimento23@libero.it
Licio Salvagno.
Licio Salvagno.
Un eroe della Guerra di Liberazione
di
Errico De Gaetano
Il
colonnello della riserva Licio Salvagno, scomparso lo scorso 8 aprile è stato
uno dei migliori esempi dello spirito e della dedizione che animarono i membri
delle Forze Armate regolari nel corso della Guerra di Liberazione. Nato a
Venezia il 28 dicembre 1920, Salvagno inizia la propria esperienza militare il
16 marzo 1942, varcando la soglia del palazzo ducale di Modena per frequentare
l’85° corso regolare della Regia Accademia di Fanteria e Cavalleria, un corso
accelerato e sprovvisto della tradizionale denominazione, avviato per far
fronte alla accresciuta esigenza di ufficiali subalterni determinata dalle
vicende belliche. Dopo aver sperimentato quella “pesante normalità” che continua
a caratterizzare la moderna Accademia Militare (essendo le esigenze
di “formazione caratteriale” sostanzialmente immuni allo scorrere del tempo), il
5 settembre 1943, nominato Sottotenente di fanteria, Salvagno prende servizio
presso la Scuola di Applicazione di fanteria di Parma per completare la propria
preparazione professionale in vista dell’assegnazione ai reparti combattenti. Le
aspettative e le aspirazioni di Salvagno e dei suoi giovani colleghi di corso,
tuttavia, svaniscono bruscamente dopo appena tre giorni dal raggiungimento
dell’ambito traguardo della nomina a ufficiale. La proclamazione
dell’armistizio, infatti, coglie di sorpresa centinaia di migliaia di soldati
italiani in tutta Europa, dando inizio a uno dei periodi più bui della storia
patria.
Privo
di ordini e perfino della pistola d’ordinanza, non ancora distribuita, Salvagno
viene catturato dalle SS assieme a gran parte dei propri colleghi di corso,
taluni dei quali perdono la vita in quei momenti di estrema confusione e
disorientamento. Trasferito a Mantova in una caserma adibita a campo di
concentramento per ufficiali, riesce a sfuggire alla prigionia, strisciando in
un angusto canale di scolo sotterraneo, e a raggiungere fortunosamente la
propria residenza a Venezia, anche grazie al contributo coraggioso di numerosi
cittadini.
Ricongiuntosi
con la propria famiglia, sfollata in Cadore, dopo aver passato in rassegna
tutte le possibili alternative (tutte giustificabili, come ebbe a dire in quei
difficili momenti il Grande Ammiraglio Thaon di Revel, purché scelte con cuore
sereno) Salvagno decide di mantenere fede al giuramento prestato e di
raggiungere l’Italia meridionale per riprendere servizio nell’Esercito
regolare.
Raggiunta
Roma, assiste al progressivo inasprimento dell’occupazione tedesca che lo
costringe a trovare rifugio presso la Casa Generalizia dei padri Barnabiti, ove
si cela in una soffitta fino al 5 giugno 1944, allorché gli americani entrano
finalmente in Roma.
Il
Sottotenente Salvagno, quindi, pur consapevole dei prevedibili sacrifici
derivante dalla diretta partecipazione alle operazioni di guerra, si affretta a
chiedere al ricostituito Ministero della Guerra di essere reintegrato
nell’Esercito e inviato ai reparti combattenti tanto per adempiere al
giuramento prestato, quanto per soddisfare l’intimo anelito di contribuire alla
rinascita del Paese, concorrendo, come i numerosi volontari che affluirono
nelle fila del Corpo di Liberazione, allo sforzo militare alleato nella
speranza che ciò potesse lenire i termini di resa.
Assegnato
al costituendo Gruppo da Combattimento Friuli, costituito sulla base della
omonima divisione di fanteria che aveva scacciato i tedeschi dalla Corsica, Salvagno
si scontra con l’incomprensibile burocrazia dell’nuovo Esercito che, lungi dal
riconoscere il valore e il coraggio di chi ha atteso, con grande rischio
personale, il momento di ripresentarsi alle autorità militari per assolvere al
proprio dovere, pretende di eseguire incomprensibili accertamenti disciplinari
finalizzati ad acclarare le motivazioni della tardiva “rivelazione” alle
autorità militari, dimenticando il fatto che il personale alle armi era stato
sostanzialmente abbandonato al proprio destino nei convulsi giorni seguiti alla
proclamazione dell’armistizio.
Salvagno,
comunque, assume il comando “in sede vacante” della 6ª compagnia del 2°
battaglione/88° reggimento fanteria, composta da veterani dei combattimenti di
Corsica, da disertori rastrellati nel Meridione e di veri e propri volontari
attratti tanto dallo spirito patriottico dianzi illustrato, quanto dalla cruda
necessità di sopravvivere nell’impossibilità di ricongiungersi alle proprie
famiglie residenti al di là delle linee alleate.
Dopo
un periodo di intenso addestramento nei pressi di San Giorgio del Sannio, che
si conclude con la fornitura di vestiario ed equipaggiamento inglese nuovo di
zecca, il Friuli si schiera a Radda del Chianti ove conduce un ulteriore ciclo
addestrativo propedeutico all’immissione in prima linea.
All’inizio
del gennaio 1945, ormai pienamente addestrato, il Friuli prende posizione nella
zona di Bertinoro, nelle immediate retrovie del Fronte, da dove Salvagno,
tornato al ruolo di comandante di plotone a seguito dell’assegnazione di un
Capitano come comandante di reparto, partecipa alle ricognizioni che porteranno
la Grande Unità italiana a sostituire la 5ª divisione di fanteria polacca
Kresowa sulla Linea del Senio.
Il “Friuli”,
quindi, si schiera di fronte alla 715ª divisione di fanteria tedesca presto
sostituita dalla più agguerrita 4ª divisione paracadutisti, una delle migliori
unità avversarie in Italia.
Durante
le prime settimane sul fronte del Senio, Salvagno riceve il compito di
presidiare il caposaldo nel paese di Villa San Giorgio a Vezzano e di eseguire
diverse azioni di pattuglia che, occasionalmente, sfociano in combattimenti di
più vaste proporzioni. Il 15 marzo, quindi, partecipa agli aspri combattimenti
per q. 92, una collina dominata da una casa colonica, che gli italiani,
diversamente dai polacchi, presidiano stabilmente creando chiaro disagio agli
avversari. I paracadutisti tedeschi, infatti, approfittando del delicato
momento dell’avvicendamento, lanciano un attacco notturno cogliendo di sorpresa
i “friulani” che resistono disperatamente finché non vengono sommersi dalle
macerie dell’edificio. Il giorno successivo un reparto di formazione del “Friuli”,
composto da due pattuglie di fucilieri e una di granatieri (che costituivano il
terzo battaglione di ciascuno dei due reggimenti del Gruppo di Combattimento)
muove al contrattacco, appoggiato dalla 6ª compagnia in cui Salvagno comanda il
plotone di rincalzo. Fallito il primo assalto, a causa delle gravi perdite che
includono due comandanti di pattuglia su tre, la 6ª compagnia rinnova l’assalto
senza successo. All’alba, gli italiani sono costretti a ritirarsi per non
rimanere esposti al fuoco avversario, non offrendo il terreno adeguata
copertura. Il giorno successivo, Salvagno, alla testa dei soli mitraglieri e
relativi serventi del suo esausto plotone, appoggia un ulteriore attacco dei
granatieri che, finalmente, riescono a riconquistare q. 92, annientando, quasi
completamente, una compagnia di paracadutisti e catturando diversi prigionieri,
tra cui diversi ausiliari russi in uniforme tedesca.
Dopo
un breve periodo di riposo nelle retrovie, Salvagno e i suoi soldati di sono di
nuovo in prima linea per l’offensiva finale. Il comandante del Gruppo di
Combattimento, Generale Arturo Schettini, infatti, nonostante la sua unità
avesse maturato diritto a un turno di riposo aveva chiesto e ottenuto di avere
l’onore di partecipare all’offensiva finale, nell’intento di offrire il maggior
contributo possibile alla causa alleata per il noto obiettivo di ridimensionare
le pretese dei vincitori in sede di trattato di pace.
Salvagno
di nuovo al comando della 6ª compagnia per effetto di un improvviso attacco di
malaria del titolare, riceve il compito di costituire la riserva di
battaglione, in quanto il suo Reparto era stato fortemente provato dai
precedenti combattimenti.
Il 10
aprile 1945 alle 5.30, così, il “Friuli” prende parte all’ultima grande
offensiva alleata in Italia, conducendo un operazione diversiva volta a
ingaggiare la 4ª divisione paracadutisti ed evitare che potesse distaccare
rinforzi verso il contermine settore della 26ª divisione corazzata tedesca
lungo la via Emilia (Operazione Pasqua), ove i polacchi del gruppo corazzato
“Dud” avrebbero esercitato lo sforzo principale. Nel dettaglio, il “Friuli”
attacca verso Riolo con due battaglioni in primo scaglione e due in secondo
scaglione con il supporto di nove gruppi di artiglieria con circa 160 pezzi che
rovesciano un uragano di fuoco di preparazione sulle sole posizioni avanzate
tedesche. Il Generale Schettini, infatti, aveva preteso che l’abitato di Riolo,
ove numerosi cittadini erano rimasti asserragliati nelle cantine, fosse preservato
dalla sicura distruzione a opera della possente artiglieria alleata, accettando
l’inevitabile rischio di più alte perdite tra i soldati italiani.
L’attacco
diversivo del “Friuli”, condotto attraverso un terreno completamente esposto al
fuoco nemico e privo del supporto dei carri armati inglesi (che non possono
essere assegnati sotto comando italiano), si arena, con forti perdite, contro i
campi minati e le fortificazioni tedesche.
Le
compagnie avanzate del II/88° fanteria che investono Riolo, sono rapidamente
decimate dal fuoco e dalle mine avversarie: la 5ª compagnia viene quasi
completamente annientata nell’attacco contro l’Abbazia, mentre la 7ª si arena
di fronte al Mulino Maschi subendo gravissime perdite.
In
tale frangente, il sottotenente Salvagno, tornato ancora una volta alla guida di
un plotone a seguito del tempestivo rientro in servizio del comandante di
compagnia titolare, riceve l’ordine di guadare il Senio assieme agli altri due
plotoni del Reparto, per alimentare l’attacco contro il caposaldo tedesco di
casa Guarè, onde evitare che la citata 7ª compagnia, ormai ridotta al solo
Comandante di reparto e 7-8 soldati fosse completamente annientata. Anche
l’attacco della 6ª compagnia, tuttavia, si esaurisce contro i campi minati e le
fortificazioni avversarie con perdite sensibili anche a causa dell’incessante
fuoco dei mortai che costringe i superstiti a trincerarsi sulle posizioni
raggiunte sulla riva settentrionale del Senio.
Nel
primo pomeriggio, Salvagno riceve l’ordine di lanciare un ulteriore attacco
contro Casa Guarè, impiegando esclusivamente il suo plotone. Gli viene
richiesto di attaccare in salita attraverso un terreno completamente privo di
appigli tattici e infestato da una grande quantità di mine antiuomo. Tanto è
grave la situazione e tanto elevato il rischio di insuccesso che l’ordine viene
confermato dal comandante di battaglione in persona.
Dopo
aver doverosamente presentato la difficoltà dell’impresa, accresciuta dal fatto
che il suo plotone, articolato come unità comando e servizi, non disponeva
della stessa consistenza organica e dell’armamento delle unità fucilieri,
Salvagno provvede a rinforzare il proprio plotone con i resti di altri reparti,
in vista dell’attacco pianificato per le 14.00 e successivamente posticipato
alle 14.30.
In una chiara dimostrazione degli imprevisti che
caratterizzano le operazioni militari sotto il nome di “attrito”, l’artiglieria
del “Friuli”, verosimilmente non preavvisata della nuova ora di inizio attacco,
apre il fuoco alle 14.00, facendo così svanire qualsiasi speranza di conseguire
un minimo effetto sorpresa. Preavvisati dal tiro di preparazione, i tedeschi
bersagliano le posizioni di Salvagno e i rinforzi inviati per sostenere
l’attacco con un nutrito fuoco di mortai e mitragliatrici. Preso atto della
progressiva dissoluzione della propria unità sotto il fuoco nemico, Salvagno
raggruppa un pugno di volontari per tentare un ultimo assalto fintanto che le fortificazioni
nemiche sono colpite dall’artiglieria italiana. Divide, quindi, il gruppo in
due aliquote, delle quali una attaccherà frontalmente attraverso un campo
minato per attirare il fuoco nemico e l’altra tenterà di sfruttare un canale per
avvicinarsi il più possibile a Casa Guarè. Mentre il primo gruppo assolve al
suo difficile compito venendo inesorabilmente logorato dal fuoco avversario, il
secondo avanza verso l’obiettivo assegnato al prezzo di continue perdite.
Nonostante l’inceppamento della propria arma automatica e una ferita al
ginocchio Salvagno riesce a portarsi a distanza d’assalto, ma mentre si erge lanciare
una bomba a mano contro il caposaldo tedesco, viene colpito alla testa,
presumibilmente da un tiratore scelto avversario che, nei dintorni della
posizione di Salvagno, aveva già freddato una mezza dozzina di soldati italiani
con precisi colpi alla testa. Dopo un fulmineo momento di smarrimento,
nonostante la grave ferita al capo e il colpo ricevuto al ginocchio, il nostro Sottotenente
riesce a raggiungere le posizioni di partenza correndo disperatamente attraverso
il fuoco tedesco. Dopo un primo sommario trattamento a opera del suo stesso Comandante
di Compagnia e dopo aver incitato i suoi commilitoni a continuare a combattere
per l’onore del reggimento, guada di nuovo il Senio con le proprie forze in
cerca del posto di medicazione, conscio della gravità della propria ferita.
Operato all’ospedale di Forlì, grazie al diretto interessamento del comandante
del Gruppo di Combattimento, Salvagno viene trasferito all’ospedale inglese di Cervia
ove riesce a sopravvivere a una ferita ritenuta normalmente mortale.
Per l’eroismo dimostrato nella Battaglia del Senio, Salvagno
viene decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente
motivazione: “in testa al suo Plotone tentava più volte la riconquista
di una munitissima posizione nemica. Allorché la violenta reazione del tiro di
mortai e di armi automatiche, provocando rilevanti perdite nel suo reparto
minacciava di arrestare l'azione, scattava in piedi e da solo si slanciava
contro l'obiettivo trascinando i superstiti entusiasmati dal suo valore e dal
suo ardimento. Gravemente ferito, incitava i suoi uomini a proseguire
nell'azione per l'onore del proprio Reggimento. Già distintosi in precedenti
azioni per calma, serenità e sprezzo del pericolo”.
Abbandonata la carriera
delle armi subito dopo la conclusione delle ostilità, Licio Salvagno esercita la professione di imprenditore in Venezia, sua città natale, ricoprendo anche importanti incarichi politici e
sociali (tra cui quello di Presidente Nazionale dell’Associazione Lagunari,
peraltro tra lui fondata) e portando sempre nel cuore l’esperienza della Guerra di Liberazione, condivisa ogni
anno con i soldati della “Friuli” e condensata con poetica maestria nella sua
opera “1943-1944-1945, Tre anni della mia vita”, di cui si consiglia
vivamente la lettura.
Secondo
la sfuggente legge di natura che restituisce a ciascuno ciò che ha dato, il
Colonnello Licio Salvagno, al pari di tanti altri eroi di guerra, è stato
ricompensato dei sacrifici offerti alla collettività con una vita piena di
successi e con una vigoria fisica assolutamente straordinaria .
Lo
stesso destino ha voluto omaggiare Licio Salvagno ponendo fine alla la sua
lunga permanenza terrena nel giorno della Resurrezione che diede il nome
dell’operazione di guerra che 67 anni or sono segnò la sua vita.
E quest’anno, dopo aver accompagnato i soldati del nuovo Esercito
Italiano nel ripercorrere l’epopea del Senio per numerosi decenni, il
Colonnello Salvagno ha partecipato alle commemorazione della liberazione di
Riolo Terme, ritornando alla testa dei suoi valorosi compagni d’arme del Gruppo
di Combattimento “Friuli” che ogni 10 aprile si radunano ancora una volta tra
il colle di Zattaglia e le rive del Senio.