I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli

I Carri polacchi in marcia verso Castelferretti, al bivio di Casteld'Emilio, sotto Paterno 18 lugli
Bivio per Casteld'Emilio, sotto Paterno: La popolazione civile, in maggioranza femminile in quanto gli uomini erano nascosti applaude al passaggio dei carri polacchi

mercoledì 28 dicembre 2011

Federico Levy

Firenze 28 ottobre 2011

Il Ruolo delle Forze Armate Italiane nella liberazione delle città. 1943-1945

La Liberazione delle Città delle Marche

Inutile sottolineare quanto tutt'oggi sia importante curare lo studio della storia del nostro Paese, e in particolare proprio laddove essa è testimone del travagliato cammino della sua liberazione. La guerra di Liberazione ha assunto fin dal principio una valenza politica di portata inestimabile per la futura Italia, in quanto in essa l'energia politica costituente ha tratto il principio di costruzione del nuovo ordine politico, istituzionale e culturale che hanno regalato all'Italia una nuova “vita”. Perciò, al di fuori di agiografica retorica, è quanto mai utile promuovere una ricerca storica su quegli anni fondamentali che cerchi il più possibile di arricchire quel complesso di saperi ad essa inerenti nell'ottica di un sincero sforzo volto a tramandarlo alle generazioni future. Anche per questo motivo assume valore peculiare narrare il concreto svolgersi della guerra di Liberazione là dove materialmente assume sostanza, nei vari territori italiani, nelle città, nelle esperienze, nei volti. Da qui anche la grandissima importanza che assumono le dimensioni della ricerca, i campi di analisi, soprattutto le fonti che sono per lo storico ciò che la creta è per lo scultore. Così nell’ambito della Sezione Studenti e Cultori della Materia si è già avviato un programma che prevede la raccolta delle testimonianze dei protagonisti della Guerra di Liberazione. Proprio in virtù di questa particolare attenzione all'autenticità e peculiarità della ricerca (ben diversa, pur senza volerla ovviamente sostituire, da un manuale di storia o libro di analisi storico-politologica), la fonte storica della testimonianza personale è considerata di inestimabile valore proprio nel suo aspetto di soggettività. Un dedito lavoro sulle testimonianze che può assumere molteplici forme: dalla trascrizione di interviste orali ai protagonisti alla raccolta del materiale documentario attraverso programmi di ricerca e documentazione, con l'analisi di lettere, diari,... Anche in virtù di questo, nell'ambito di questa vasta ricerca il territorio di riferimento assume una preziosa importanza. Pertanto il sottoscritto (che nasce e vive a Mondavio, in provincia di Pesaro) è onorato di esser parte di questo progetto partecipando alla raccolta di testimonianze di protagonisti marchigiani.
Accanto a questo si sta già provvedendo alla stesura e messa in supporto informatico di documentazione di protagonisti del periodo. Sottolineo a proposito la raccolta di Diario  e documentazione del tempo, in particolare il Diario di Francesca Bonci che è già stato pubblicato sulla rivista il Secondo Risorgimento d’Italia che tratta della liberazione di Osimo ed ha ampi tratti delle vicende della battaglia di Filottrano.
Come per altre zone, nell’ambito del progetto Storia in Laboratorio, da sottolineare sono iniziative nelle scuole volte alla ricerca di documentazione sulla guerra di Liberazione, come è già stato fatto nel comune di Castelferretti. In questa località è stato avviato un programma di raccolta di testimonianze e documentazione nel 2005 che ha portato ad una prima pubblicazione sulla Rivista Il Secondo Risorgimento d’Italia e poi alla pubblicazione del volume “ I tempi delle oche verdi”, che prende il nome da una pratica dei contadini della zona di Castelferreti in tempo di guerra, i quali davano in verderame alle oche, bianche, per mimetizzarle alla osservazione aerea alleata. Anche in questo caso  gli aspetti positivi di questo tipo di attività vanno oltre i limiti immediatamente tangibili  della stessa. Ovviamente non sono uno specialista in materia, ma ritengo che la funzione didattica svolta dalla promozione di un ruolo attivo degli studenti nella ricerca storica dia un contributo alla lotta contro questa sorta di “eterno presente” al quale il dibattito pubblico nel nostro Paese ci sta tristemente abituando. La storia infatti permette non solo di cogliere alcuni “perché” del nostro presente dalla comprensione del passato, il che non è poco; ma soprattutto fornisce dei termini di paragone, già analizzati e problematizzati, che per analogia e comparazione possono fornire punti di riferimento per comprendere meglio i fenomeni del presente. Qualche strumento per evitare la paralisi dell'ignoranza.  Tutto questo sarà raccolto in un volume, nell’ambito della Collana Storia in Laboratorio, con il titolo onnicomprensivo di “Combattere l’Oblio” ed un sottotitolo di riferimento. Il volume dedicato alle Marche, come gli altri dello stesso titolo che si dedicano ad altri territori, si propone quindi la raccolta di queste testimonianze affinché, impresse su carta ed inchiostro, non solo non vadano perdute ma si indirizzino là dove si tramanda il sapere nel futuro, nelle scuole, nelle biblioteche, nei luoghi di cultura e studio.

martedì 6 dicembre 2011

Aleksander Wozny a Roma

ACCADEMIA POLACCA DELLE SCIENZE
CENTRO DI STUDI A ROMA


invita
alla conferenza di


Prof. Aleksander WOŹNY

(Università di Breslavia)

sul tema

La Radio Vaticana di fronte alla legge marziale in Polonia

a 30 anni dall’introduzione della legge marziale in Polonia nel 1981

Martedì, 13 dicembre 2011, alle ore 18.30
presso il Centro di Studi dell’Accademia Polacca delle Scienze a Roma, vicolo Doria, 2 (Piazza Venezia)


R.S.V.P.                tel.: 06.6792170              fax: 06.6794087 E-mail: accademia@accademiapolacca.it

lunedì 14 novembre 2011

Intelligence e Resistenza nelle Marche

Si segnala il volumedi

Alessandro Perini 

I diari di Babka - aristocrazia antifascista e missioni segrete e Settembre ‘43 - giugno ‘44: l’intelligence sulla costa marchigiana meridionale.
Note d’archivio.

Il Volume è disponibile anche presso l'Autore. L'indirizzo, per chi è interessato, si può richiedere a risorgimento23@libero.it

venerdì 11 novembre 2011

Corpo Polacco: Albun Fotografico

 A tutti i lettori:

Dopo il successo della mostra e del catalogo nel 2008 dedicato ai soldati del 2° Corpo d’Armata Polacco, abbiamo un grande piacere di informarvi della nostra nuova pubblicazione. È appena uscito il catalogo della nostra nuova mostra sulle compagnie femminili di trasporto del 2° Corpo:

“Camioniste Polacche. Ausiliarie del 2o Corpo Polacco dalla Russia all’Italia 1942-1946”
L’album è in due lingue – in polacco e in italiano, contiene oltre 250 fotografie dall’archivio dell’ Istituto Sikorski a Londra e dagli archivi privati.
Per la prima volta è stata pubblicata la Cronaca della 317. Compagnia di Trasporto.
In allegato il pdf con dei brani tratti dal libro.

La mostra si terrà dal 8 maggio al 5 giugno al Istituto Parri a Bologna. Siete cordialmente invitati.

Intanto vi invitiamo a richiedere il libro. A causa dei tagli del budget per la cultura, cerchiamo con la distribuzione dei libri di assicurare all’Associazione i fondi per poter organizzare la inaugurazione della mostra. Desidereremmo un’offerta di 15E a copia. Prendendone 4 se ne riceve uno gratis.
Gli album si possono ottenere versando i soldi sul conto dell’Associazione – spediamo i libri per posta prioritaria.
Ci sarà anche una possibilità di riceverli a Bologna dopo la Santa Messa al cimitero di San Lazzaro il 2 novembre verso le ore 11.00 – in caso del interesse chiediamo di avvisarci prima con una mail.
Vi chiediamo di diffondere queste notizie a coloro che possano essere interessati nella storia della Polonia.
Per tutte le domande riguardo al catalogo e alla mostra siete pregati di scrivere a questo indirizzo:
Distinti saluti, 
Vice Presidente Anastazja Kasprzak - Cavara
Associazione Culturale Italo Polacca "Malwina Ogonowska" 
Bologna, Italia
Annuncio a Cura di Stefano Esposito

Corpo Polacco Unità Minori

La 317a Compagnia Trasporti Ausiliarie polacche al termine del secondo conflitto bellico fu trasferita nella Base militare di San Basilio ( Tra Mottola e Bari ) e posta sotto il Comando Base del 2° Corpo d'Armata polacco di Mottola. Dal maggio 1945 sino al giugno 1946 la suddetta Compagnia provvide al trasporto ( vettovaglie,carburanti,alimenti,vestiario,medicinali,materiale didattico,materiali di casermaggio,ricambi per autocarri ed autoveicoli, etc...) dalle basi di Napoli,Capua e Taranto ai vari centri di addestramento militare polacchi del Salento ( Alezio, Gallipoli, Galatone, Maglie, Galatina, Otranto,San Pietro in Lama, Squinzano ed alle scuole militari di Lecce, Alessano e Casarano ). Alcune delle foto inserite nel libro sono state da me donate all'Associazione Italo Polacca " Malwina Ogonowska ".
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  stefano esposito
 

lunedì 19 settembre 2011

Il Corpo Italiani di Liberazione: le armi

di Marco Iacono


Prima di procedere ad una disamina degli armamenti in dotazione al C.I.L. bisogna sicuramente ricordare come il reparto, proveniente dal disciolto 1° Raggruppamento Motorizzato, abbia ereditato nella prima fase dei combattimenti gli armamenti del soppresso reparto. Con tali dotazioni, armato soprattutto di non comune spirito di sacrificio e  tanta volontà, il C.I.L. è riuscito a caratterizzare il proprio impegno nella campagna della primavera del 1944, in particolare nelle regioni adriatiche delle Marche ed Abruzzo.
Le maggiori lacune del CIL erano dovute alla cronica deficienza di automezzi, alla scarsità delle
artiglierie e alla assoluta mancanza di  mezzi corazzati  per il combattimento, oltre alla deficienza delle dotazioni d’armamento, sia individuali che di reparto, anche nell’equipaggiamento le risorse erano davvero limite e poco efficienti, potendo i reparti far fronte ad un limitato munizionamento capace di non superare la soglia massima di venti giorni di combattimento.
                                                  
Del Corpo Italiano di Liberazione fecero parte:
- un Reggimento di fanteria: il 68° su due battaglioni (forza circa 1.800 uomini);
- un Reggimento bersaglieri: il 4° su due battaglioni, XXIX e XXXIII (forza circa 1.250 uomini ) ;  
- un Reggimento artiglieria: l'11°su tre gruppi (forza circa 600 uomini)   
- un battaglione paracadutisti: il CLXXXV su tre compagnie (forza circa 450 uomini)                       
- un battaglione alpini: il "Piemonte", con una btr. da 75 mm. someggiata (forza circa 600 uomini);
- un battaglione arditi: il IX reparto d'assalto (circa 600 uomini)                                                          
- unità dei Carabinieri, del Genio e dei Servizi.
 Era un complesso di forze di tutto rispetto. 
In particolare gli armamenti di cui era dotato il CIL erano tipici di dotazioni di brigate miste nelle quali però è da sottolineare che il rapporto tra gli elementi di manovra (fanteria) ed elemento di fuoco pesante (artiglieria)  era tutto a favore del primo.
Tale situazione sottolinea l’importanza rivolta alla manovra in un momento in cui l’avanzata era in fase di assumere un ritmo celere.
In totale i gruppi di artiglieria compresi quelli della divisione Nembo e delle brigate dipendenti  erano di 10 unità di fronte ai 14 battaglioni di fanteria.
Salvo qualche variante di marginale rilievo fu questo l’ordinamento del CIL di fatto mantenuto fino al suo scioglimento. In particolare l’attività bellica del CIL fu condotta con armamenti tipici di reparti di fanteria più un nutrito ma obsoleto parco di pezzi di artiglieria, disponibile in diversi calibri. Assai lamentata è inoltre la mancanza di mezzi corazzati che al contrario, il nemico tedesco, seppur in ritirata disponeva in  maniera significativa.
In attesa che il Comando alleato affidi i mezzi corazzati, lo Stato Maggiore Italiano, cerca di ottenere un carro M13/40 dal Centro Studi Motorizzazione, un semovente con pezzo da 75 , un auto blindo e due semoventi con pezzi 105 e per ultimo 8 auto blindo da disciolti corpi stanziali in Roma, ma il C.I.L. sarà sciolto prima che questi mezzi vengano assegnati.

 
  Le armi di dotazione personale del CIL comuni ad entrambe le specialità erano il moschetto mod.91 e il M.A.B. 38 A (ritenuto migliore dei mitra alleati distribuiti),  gli ufficiali avevano in dotazione le loro Beretta 34 cal. 9 corto, inoltre alcuni militari erano armati con moschetto automatico. Le dotazioni di reparto tipiche di un segmento di fanteria erano invece costituite da:
-         fucili mitragliatrici;
-         mitragliatrici Breda;
-         bombe a mano SRCM;
-         mortai 45/81 – 47/82;

I reparti di artiglieria erano invece equipaggiati con :
- 3 gruppo con pezzi da 75/13 ( noto come gruppo someggiato),
- 3 gruppi con pezzi da 75/18;
- 2 gruppi con pezzi da 100/22;
- 2 gruppi con pezzi 105/28
- 3 batterie da 20 mm c.a.;
- 4 batterie 57/50 contro carri;
- diverse compagnie dotate di pezzi da 47/32

Bisogna in ultimo ricordare che successivamente allo scioglimento il CIL sarà interamente riarmato con dotazioni di nuova fabbricazione in uso alle truppe inglesi, dalle quali oltre agli armamenti riceverà anche le divise e tutte le ulteriori dotazioni necessarie al nuovo armamento dei gruppi di combattimento.
Dunque aspetto singolare è l’estrema versatilità con cui i reparti combattenti, fino alla battaglia di Filottrano utilizzano armi e mezzi di produzione nazionale, passando successivamente ad affrontare le altre campagne con nuovi armamenti ed anche con divise degli alleati, sperimentando direttamente sul campo le nuove dotazioni affidate.   

In conclusione per quanto in ultimo accennato, volendo adottare un azzardato parallelismo  con quanto oggi avviene, secondo le nuove dottrina di sperimentazione degli armamenti, dove gli stessi sono testati e adottati direttamente in teatro, si può sicuramente affermare che il glorioso CIL, inconsapevolmente ma sicuramente con i risultati che oggi sarebbero più che mai attuali, il reparto con l’utilizzo in combattimento dei nuovi e diversi armamenti degli alleati, è stato precursore di tale teoria adottando inoltre, come nel caso del fucile mitragliatore MAB 38 scelte sulle sua capacità di fuoco rispetto all’omologo armamento proposto dagli alleati.

domenica 17 luglio 2011

Il Corpo Italiano di Liberazione. I Capi


Ubaldo Del Monaco

Il presente contributo necessita di una breve premessa per delineare in modo chiaro ed esauriente il quadro storico di riferimento.
Dopo l’8 settembre, il vertice politico vede, ancora, quale Capo del Governo, il maresciallo Pietro Badoglio. Si avvicenderanno, invece, nella carica di Ministro della Guerra, il generale Antonio Sorice (fino al 15 febbraio 1944), il generale Taddeo Orlando (fino al 17 giugno del 1944) e l’onorevole Alessandro Cassati (fino al 20giugno 1945). Si avvertiva un “vuoto” generale di tutela e di sicurezza, nonché di un totale disorientamento fra le fila dell’esercito, ormai disintegrato sia sul piano organizzativo che morale (comandanti e soldati erano in balìa di se stessi, e cercarono di rientrare alle proprie famiglie).
Dai primi giorni successivi all’armistizio, pertanto, sia il Governo sia i vertici militari italiani, cercarono di convincere gli Alleati dell’opportunità di affiancare alle forze sbarcate in Italia i nuovi reparti italiani in via di costituzione. Gli Alleati, infatti, nutrivano ancora diffidenza e rancore verso gli ex nemici. Non erano pertanto, favorevoli alla collaborazione con le forze militari italiane, per due ordini di ragioni: una di natura politica, perché un’eventuale partecipazione militare sul campo di battaglia avrebbe potuto dare adito a richieste di revisione e di alleggerimento delle clausole stabilite dall’armistizio; l’altra di natura pregiudiziale, legata strettamente alla riserva mentale sull’efficienza e sull’affidabilità delle “nostre truppe” in guerra.Toccava perciò al soldato italiano rimuovere quello scetticismo, affermare il suo effettivo impegno in battaglia, e dimostrare di essere ancora in grado di battersi per un ideale.
L’invito fu infine raccolto e la prova del fuoco giunse poco dopo su Monte Marrone. La sorpresa del Comando Alleato fu pari all’ammirazione. Fioccarono gli elogi e fu il definitivo convincimento per ammettere gli italiani al rango di “cobelligeranti”. Tale successo fu reso possibile anche grazie al carisma di un comandante, il generale Umberto Utili. Egli fu determinante per la riorganizzazione del I Raggruppamento, del quale assunse il comando alla fine del gennaio 1944, ma, soprattutto, per la costituzione, nel successivo mese di marzo, del Corpo Italiano di Liberazione.
Questo elaborato, che si pone l’obiettivo di “passare in rassegna”  i capi militari italiani che si distinsero nei momenti tormentosi conseguenti all’armistizio, non poteva, pertanto, che riservare al generale Utili, una posizione di primissimo piano. Tale considerazione non è frutto di patriottismo, ma delle eccellenti qualità umane e professionali unanimemente riconosciutegli.
Come diceva di lui il generale Antonio Ricchezza, capo ufficio operazioni del C.I.L. e suo stretto collaboratore: <<…Il generale Utili, un uomo assolutamente invulnerabile alle atmosfere depresse, prese in mano le truppe, si dette da fare perché ogni giorno ci fosse un po’più di luce che nel precedente…era l’uomo più adatto a farlo in tutto l’Esercito italiano di allora…>>. Utili era un uomo dalla tempra forte e dal carattere non arrendevole, capace di trasmettere sentimenti alti ai suoi collaboratori. Seppe infondere fiducia e galvanizzare tutti per la nuova impresa che avrebbe onorato le armi italiane.
Il generale, nell’assumere il comando, si rivolse così ai suoi commilitoni: <<…Sono fiero di essere stato destinato a comandarvi…voi avete dato l’esempio generoso ed avete versato il vostro sangue, che è sempre qualcosa di più prezioso delle chiacchiere…Ragazzi in piedi, perché questa è l’Aurora di un giorno migliore…>>. Egli possedeva un intimo senso del dovere e spiccava nel sapersi assumere le sue responsabilità. Erano innati in lui i sani principi dell’onore militare, della disciplina e dello spirito di sacrificio. <<Il generale Utili - come scriveva il generale Paolo Berardi (Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ) - superava per intelligenza, fantasia e volontà la media dei nostri generali. Sapeva di valere, era ipercritico, si prendeva libertà molto spinte di apprezzamenti, e non era “inferiore comodo…>>. L’espressione “eufemistica” del superiore sottolinea l’abitudine del generale a rispondere in modo tranciante agli ordini che non lo persuadevano. Direi che è raro imbattersi in una personalità con il coraggio di dire la sua in un contesto molto poco libero, come quello dell’epoca allo studio. Era un uomo che si reggeva da sé, che si faceva ben volere dai dipendenti, che sapeva imporsi con dignità anche agli Alleati1. Monte Marrone, doveva essere l’emblema della riscossa italiana.
Il generale Utili si avvalse di questo simbolo con la perspicacia e l’intuito tipici dei grandi comandanti. Egli seppe attribuire un grande valore morale a quel fatto d’arme, le cui truppe protagoniste, così valorosamente distintesi, erano in parte ancora ai suoi ordini. Questo degno soldato italiano aveva solo 48 anni, ma un’esperienza incomparabile in combattimento. Era, infatti, insignito di tre medaglie d’argento al valore militare, guadagnate sui fronti dell’Africa orientale, della Grecia e della Russia. L’atteggiamento di “inferiore non di comodo” gli era praticamente costato la carriera: nel 1934 era stato espulso dallo Stato Maggiore, per certe sue critiche sull’avanzamento degli ufficiali.
Questo era Utili: uomo e generale, che per quanto autonomo ed imprevedibile, sentì sempre sul collo le ultime parole rivolte dal Capo di Stato Maggiore Generale Messe ai soldati italiani: <<…Vi affido ad un uomo che sarà avaro del vostro sangue; certo lo spenderà quando sarà necessario, ma mai invano e mai leggermente…>>.
Non meno prezioso, nella “Guerra di Liberazione”, fu il contributo fornito dal Battaglione “Piemonte” degli alpini, al comando del maggiore Alberto Briatore, il quale condusse con lucida strategia, fermezza e determinazione i suoi uomini alla vittoria. Grazie alla sua consumata esperienza di comando, aveva letteralmente rovesciato la situazione materiale e morale del “Piemonte”, portandolo ad un’impresa di guerra di montagna di assoluto valore. Mostrò così palese a tutti (Alleati compresi), la preparazione ed il vigore d’esecuzione del suo reparto in battaglia. Briatore sapeva esaltare il comportamento dei suoi uomini.
Mi piace ricordare, in questo contesto, il memorabile, vibrante elogio, segnalato con un ordine del giorno, inviato all’indomani della battaglia di Monte Marrone : <<…Infliggendo all’orgoglioso nemico una lezione durissima…non vi siete lasciati fiaccare dall’eccezionale sforzo fisico dei trasporti a spalla sul lungo e penoso percorso…ma avete organizzato e vigilato la posizione…>>.
La gloria ed il valore non mancarono neanche a Filottrano, dove il 183° Reggimento  paracadutisti, articolato su due  battaglioni, il XV e il XVI , segnò un’altra epica pagina contro l’occupazione nazista.
L’azione confermò pienamente l’indiscusso valore e la netta ripresa dei  combattenti italiani, esaltando l’eroico comportamento dei paracadutisti, i cui risultati andarono al di là di qualsiasi aspettativa. Al comando del colonnello Giuseppe Quaroni, indiscusso leader carismatico, i parà inflissero al nemico, impaurito e sorpreso dall’inaspettata “apparizione”, perdite gravissime.
 Attento non solo alla preparazione ed alla formazione militare dei suoi “ragazzi”, ai quali era portato a rivolgersi con parole che scaldavano il cuore prima che la mente, il colonnello Quaroni seppe trasmettere a ciascuno il proprio coraggio ed il suo spirito garibaldino, con lo slancio e la tenacia che ne caratterizzavano la  forte personalità. Il suo Reparto, come tipico della tradizione alpina, seppe immedesimarsi alla personalità trainante del suo comandante, mostrando ancora quel valore che ha sempre distinto le nostre truppe di montagna, uomini abituati ad agire in condizioni estreme (in questo caso non solo per l’ambiente).
Questi comandanti, insieme ai soldati di ogni grado, che hanno sacrificato e rischiato la loro vita nella “Guerra di Liberazione”, ci hanno restituito “l’Aurora”, il nostro giorno migliore, donando al nostro Paese la dignità degli uomini liberi, quella libertà di cui , tutti noi godiamo da più di sessant’anni.
Per i comandanti di oggi, questi Ufficiali sono degli esempi di comportamento. Soldati che hanno saputo essere d’esempio in un clima di assoluto abbandono e di crollo improvviso dei valori nei quali si era creduto per lustri. Lo spirito d’iniziativa ed il coraggio sono caratteristiche necessarie dei militari.
Io ritengo che gli Uomini di cui ho parlato abbiano interpretato il loro dovere con dignità e valore. Quel dovere di fedeltà non alle Istituzioni formali, che non avevano retto all’urto dei tempi, ma a quel Popolo di cui erano figli, a quegli Italiani di cui sono giustamente divenuti un modello, nello spirito dell’Italia risorta.

Passato e Futuro degi Alpini: due equivoci da chiarire

                                                                  Di Ferruccio Botti

Gli alpini sono, fuor d'ogni dubbio, il corpo più glorioso, prestigioso e popolare dell'Esercito. Tuttavia sul loro passato e sul loro futuro pesano due equivoci che, se non altro per rispetto a questa gente semplice, forte, leale, dovrebbero essere una buona volta dissipati.
 Mi riferisco anzitutto alle loro origini: sarebbero stati "ideali", "creati", “fondati" dal capitano di fanteria di Stato Maggiore Giuseppe Perrucchetti, che ne avrebbe proposto per primo la costituzione nel maggio 1872 sulla Rivista Militare, convincendo ipso facto (?!)il Ministro della guerra (generale Ricotti) a costituire le prime compagnie nell'ottobre dello stesso anno, con il compito di "difendere le Alpi". Negli ultimi anni è stata affacciata un'altra versione ancor più inattendibile, accreditata anche da un sito web sugli alpini: il loro vero "padre" sarebbe il generale Agostino Ricci, che prima del Perrucchetti avrebbe sperimentato alla Scuola di guerra la possibilità di costituirli.
Secondo equivoco: il servizio di leva. - e, con esso, il reclutamento dei giovani nelle valli alpine - si sta inesorabilmente avviando all'estinzione, perciò anche i reparti alpini saranno costituiti, in maggioranza, da bravi giovani meridionali volontari. Secondo la versione ufficiale, tuttavia, sarà pur sempre possibile mantenere ottime truppe alpine: sarebbe cioè valido il detto "alpini non si nasce, ma si diventa".
Ebbene, l'approfondito esame della vasta letteratura militare della seconda metà del secolo XIX, da me compiuto per conto dell'Ufficio Storico dell'Esercito, mi ha condotto a conclusioni assai diverse da queste versioni di comodo, che potrebbero essere definite luoghi comuni.
Le riassumo qui di seguito.
1) Subito dopo l'unità d'Italia l'Esercito, numericamente ridotto, è stato costretto a pianificare la difesa dell'esteso confine alpino sia contro la Francia, che contro l'Austria (dal 1882 alleata, ma sempre infida). Una difesa "a cordone" delle Alpi non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo; un'offensiva contro eserciti assai più forti era da escludere. Di qui la necessità di svolgere nella fascia alpina solo un'azione di logoramento e ritardo e un'attività informativa, affidate a milizie locali mobilitate con la massima rapidità, onde dar tempo all'esercito permanente del tempo di pace di completarsi e affluire nell'alta pianura padana (dove avrebbe contrattaccato le colonne dell'invasore nel momento della massima crisi, cioè al loro sbocco in piano).
2) Si tratta dunque di una strategia obbligata, che nel XIX secolo non era affatto nuova: l'avevano applicata per secoli i duchi di Savoia, costretti a fronteggiare le invasioni francesi con un esercito permanente di poche migliaia di uomini, che dunque non poteva difendere tutto l'esteso confine alpino. E da secoli erano note le virtù militari della dura gente delle Alpi, accompagnate dalla perfetta conoscenza dei luoghi dove dovevano operare ... E' questa vecchia idea che prevale nell'articolo del Perrucchetti del maggio 1872, che (poi di li a pochi anni, avrebbe cambiato idea) non voleva difendere la fascia alpina oltranza ma solo difenderla fin che possibile, con i "bersaglieri delle Alpi" mobilitati intorno a nuclei permanenti già costituiti in pace presso i distretti di frontiera (era questa la vera novità della sua proposta).
3) L'idea era già stata affacciata, prima del Perrucchetti, da molti altri. Lo ammette lo stesso Perrucchetti  in un articolo su "La lettura - Rivista Mensile del Corriere della Sera" del luglio 1915, dal titolo "I nostri soldati alpini". Il Perrucchetti qui ricorda che nella guerra del 1866 contro l'Austria è stata reclutata in Valtellina una vera e propria brigata alpina in anteprima che ha dato ottima prova, dalla quale ha tratto "1'ispirazione del novello ordinamento" da lui proposto nel 1872 e indica espressamente tra coloro che lo hanno preceduto nell'indicare l'opportunità di "ordinare militarmente" le popolazioni alpine il colonnello Ricci e i generali Bava - Beccaris, Massari e Martini (noi potremmo aggiungere molti altri, come ad esempio i fratelli Mezzacapo, Felice Orsini, il Marselli...).
4) E allora? Allora il vero creatore e padre degli Alpini è stato il Ministro Ricotti, che ha emanato il decreto dell'ottobre 1872 per la loro costituzione. Eccellente conoscitore delle Alpi, Perrucchetti da buon ufficiale di Stato Maggiore ha tuttavia avuto il merito di compilare il primo studio di fattibilità sulla costituzione della nuova specialità (della cui necessità i suoi superiori erano già ben convinti, visto anche che è inverosimile che in soli quattro mesi - dal maggio all'ottobre 1872 - il Ministro e lo Stato Maggiore si siano decisi ad attuare l'idea nuova di un giovane capitano).
Del Ricci, basti dire che in una lettera del 1894 pubblicata sulla "Rivista Militare" nel 1908 ha "preteso la paternità" degli Alpini. Pretesa invero ingiustificata, per due ragioni: 1) perchè prima del Perrucchetti il Ricci non ha scritto una sola parola per indicare con precisione la formula degli Alpini (come ha fatto Perrucchetti), limitandosi a sostenere - come tanti prima di lui - l'opportunità di mobilitare le popolazioni locali per presidiare le fortificazioni (non solo alpine) e a sperimentare questa vecchia idea; 2) perchè non ha mai sostenuto, come invece ha fatto il Perrucchetti, la necessità di costituire fin dal tempo di pace e presso i distretti di frontiera delle compagnie permanenti alpine, che in caso di guerra si sarebbero trasformate in battaglioni (si vedano, in proposito, gli Appunti sulla difesa d'Italia dell'inizio 1872 del Ricci).
5) Chi, prima del Perrucchetti, ha sostenuto in forma più organica la formula degli Alpini è stato se mai il colonnello del genio Felice Martini, con una serie di articoli sulla "Rivista Militare" del 1871 e (probabilmente) con uno studio del 1868 sui "Bersaglieri delle Alpi" citato anche dall'Enciclopedia Militare ma andato perduto.
6) Per inciso, va osservato che sia il Martini nel 1871 che il Perrucchetti nel 1872 non parlano di Alpini, ma di "bersaglieri delle Alpi". Perchè?  perchè non risponde a verità un'altra diffusa leggenda, che cioè gli Alpini sarebbero stati creati perchè mancavano truppe addestrate ad agire in montagna. Queste truppe nel 1872 esistevano già ed erano i bersaglieri, ai quali il La Marmora nel 1836 aveva assegnato il compito prioritario di agire in terreni montani. Per "bersaglieri delle Alpi", perciò, si deve intendere semplicemente dei bersaglieri reclutati nelle Alpi e destinati ad agire solo sulle Alpi.
Dalle predette constatazioni si deduce che il Ricci è solo uno dei tanti che hanno dato il loro contributo alla costituzione degli Alpini e in particolare alla loro caratterizzazione regionale, considerandoli anzitutto come milizie locali destinate al presidio delle fortificazioni. Appare al tempo stesso evidente anche che il Perrucchetti non ha "creato", 'fondato", "inventato" niente: gli va però riconosciuto il merito di essere stato lo studioso che meglio di tutti ha studiato le modalità pratiche per costituire il nuovo corpo, prevedendo uno speciale ordinamento fin dal tempo di pace di tutta la popolazione della fascia alpina (che con le sole 15 compagnie del l872 - questo va ricordato - non è stato applicato affatto).
La storia delle origini degli Alpini fa anche emergere chiaramente il loro inconfondibile marchio d'origine, che ha due caratteri essenziali: il reclutamento locale (cioè esclusivamente nella fascia alpina di confine) e il reclutamento ancor più tipicamente di leva del resto dell'Esercito. Quando sono nati, infatti, gli Alpini non facevano nemmeno parte dell'Esercito permanente, che - come prevedeva anche il Ricci - non doveva essere impiegato all’interno delle Alpi. Erano milizie locali costituite solo presso i distretti di frontiera, le cui radici affondavano nelle "milizie provinciali" piemontesi, che compivano una ferma di leva più breve degli appartenenti all 'Esercito permanente.
Riguardo al futuro degli Alpini si può quindi concludere che con uomini di truppa non provenienti dalle Alpi si potranno costituire delle buone truppe da montagna: ma non delle truppe alpine nel senso proprio del termine.
Alpini si nasce: non si diventa. Questa è la realtà attuale, confermata dalla storia.

venerdì 27 maggio 2011

La situazione dei mezzi tecnici dal C.I.L. ai Gruppi di Combattimento


Se ai primi soldati ad entrare in linea non fu possibile distribuire molto materiale alleato, anche di quello nazionale si dovette fare parco uso poiché gli alleati usavano i pochi magazzini trovati per prelevare vestiario, scarpe e munizionamento a favore dei partigiani di Tito (lo paracadutavano) e degli italiani delle brigate partigiane in Jugoslavia. L’entrata in linea di soldati repubblichini nella stessa divisa grigioverde, rese necessario dotare, uniformare le divise dell’esercito del sud con quelle alleate almeno con quelle inglesi di cui i nostri reparti facevano parte. Anche per questo compaiono, nei diari dei primi mesi della guerra di liberazione, le lamentele dei soldati senza rifornimenti e senza cambi. Ma la vita del soldato non era solo quella, andava dagli alloggiamenti, alle licenze, al soldo, al vitto, ai trasporti e non ultimo alla riconoscenza. Se diciamo che in tutti questi aspetti fummo piuttosto tirati compiamo un grande atto di ottimismo e siamo ancora molto lontani dalla realtà.
Dalla primavera del 44 però, con la Creazione dei gruppi di Combattimento, ben poco distingueva il combattente dei Gruppi dal tommy inglese: la divisa era costituita dal praticissimo ed ottimo battle dress  con la usuale tascona sulla coscia sinistra, con scarponi neri e ghette in canapa. Anche la buffetteria era quella dell'esercito inglese, così come gli zaini, gli elmetti (la classica padella - Mk II steel helmett a cui i bersaglieri applicarono il piumetto) e gli attrezzi da zappatore. Chi ne aveva la possibilità (i paracadutisti in testa, ma anche i bersaglieri) conservò il M.A.B. 38 A (ritenuto migliore dei mitra alleati distribuiti), e gli ufficiali le loro Beretta 34 cal. 9 corto. Gli alpini conservarono il loro copricapo come i bersaglieri il fez, etc... I gradi erano quelli italiani ed erano tornati sulle spalline per gli ufficiali. Oltre alle mostrine italiane di corpo sul braccio sinistro compariva una bandierina (celluloide o metallo verniciato) tricolore italiana con il simbolo del gruppo sul campo centrale bianco. I paracadutisti sopra il normale battle dress indossavano un giaccone senza maniche (frequente l'uso di quelli in pelle marrone tipicamente inglese) ma anche altre tenute copiate dai tedeschi e il casco da lancio era quello inglese Mk. 1-1942 o Mk. 2-1943, anche se alcuni portavano l'elmetto da motociclista Mk.1-1942.

Per quanto riguarda gli automezzi che furono forniti ai soldati italiani c’è chi ha fatto una lista che potrà essere anche incompleta, ma significativa di quella mobilità che il nostro ex nemico aveva e che in Italia, in quanto tale orograficamente, non si poteva dispiegare al 100%. I mezzi corazzati, le artiglierie, ma non solo, ne erano un piccolo esempio. I Gruppi di Combattimento furono equipaggiati quasi interamente con materiale di provenienza alleata e più specificatamente inglese. I mezzi inglesi erano considerati sussidiari, perché con quelli non avrebbero mai vinto la guerra contro i tedeschi, pur potendo disporne anche in grandi quantità prodotte dal Commonwealth che avevano dietro le spalle. La qualità e la forza o potenza era in genere inferiore a quella tedesca
JEEP FORD GPW.
Jeep: Caratteristiche tecniche 2.199 cc - 54 hp - classe 250 kg. La sigla ormai nota come jeep che sta per GP general purpose, (foneticamente j p) usi generali, nasce con la specifica di un mezzo per il traino di piccole batterie (37mm), mezzo di comando o rimorchio . La Bantam è la prima a costruire un prototipo, poi non approvato. Anche la Ford produsse prototipi e l'originale su licenza Willys Overland Motors Inc. come è meglio conosciuta la Jeep (Willys) da chi vinse la commessa. All'epoca costava sui 1.000 $ e ne vennero prodotti 640.000 pezzi. Decine furono le varianti e gli usi introdotti su questo mezzo.
BEDFORD MW 4x2: autocarro leggero inglese, porta una squadra di 10 uomini con carico (15 cwt di portata, corrispondenti a circa 750 Kg.). Del mezzo esistevano varie versioni: quelli del Regio Esercito appartenevano alle ultime serie di produzione (D), caratterizzate da parabrezza di grandi dimensioni.
DODGE D 15: autocarro leggero Usa (15 cwt di portata, corrispondenti a circa 750 Kg.), meno diffuso del precedente. Motore a 6 cilindri 95 hp.
CMP Canadian Military Pattern CHEVROLET C15: autocarro leggero (15 cwt di portata 750 kg) a trazione integrale di produzione canadese. Motore a 6 cilindri 85 hp, lunghezza m 4,34 - telonato.
FIAT SPA TM 40. Trattore medio a 4 ruote motrici e sterzanti. Motore Diesel a 6 cilindri 108 hp Lunghezza m 4,6. Nel dopoguerra venne costruita la versione più lunga TM48 con lo spazio retrostante per le munizioni del 76/55
MORRIS C 8 FAT (Field Artillery Tractor): Risulta essere stato assegnato ai gruppi di artiglieria per il traino di tutti i pezzi in dotazione. Esiste anche in versione ad una portiera per lato e tetto parzialmente coperto in tela.  Un esemplare della versione mk III con carrozzeria tradizionale è tuttora esposta al Museo della Motorizzazione Militare in Roma alla Cecchignola.
UNIVERSAL (BREN) CARRIER: famoso tuttofare dell'esercito inglese, fu distribuito ai reparti di fanteria, dei gruppi come trasporto (truppe e materiali) e veicolo esplorante (nel dopoguerra fu utilizzato come trattore, ma non solo, per il cannone contro carro da 6 lbs) ma anche porta squadra mortaio. 88° Rgt. Friuli - 1944
LlOYD CARRIER: derivato dall'universal carrier (4 ruote portanti per lato anziché 3),da 1 tonn. Utilizzato  per il traino dei cannoni controcarro da 6 libbre (57 mm.); data la scarsità di spazio a bordo era però previsto che ogni pezzo fosse accompagnato da due trattori, uno per le munizioni e l’altro per il personale.
CANNONE contro carro da 6 lbs., in Italia noto come cannone c.c. da 57/50
In dotazione alle compagnie c.c. dei battaglioni di fanteria, data la scarsa presenza, da parte tedesca, di mezzi corazzati nei combattimenti che coinvolsero i gruppi, i cannoni da 6 libbre furono sostanzialmente usati come armi d’accompagnamento della fanteria (canna lunga).
CANNONE contro carro da 17 lbs., in Italia noto come cannone c.c. da 76/55.
Il più potente cannone controcarro alleato (armava anche Shermann Firefly), fu dato in dotazione al gruppo contro carri (tre batterie di sei pezzi) del reggimento di artiglieria. E’ stato il primo pezzo di artiglieria ad utilizzare proiettili perforanti a scartamento di involucro (APDS), per questo era in grado di competere con armi di maggior calibro (88/55 tedesco, 90/50 americano, 90/53 italiano). Venne mantenuto in servizio anche nel dopoguerra.
OBICE da 25 lbs., in Italia noto come obice campale da 88/27.
In dotazione a 4 gruppi del reggimento artiglieria, nella versione più aggiornata con freno di bocca a due luci. Ebbe lunga vita (non solo nell’E.I.) nel dopoguerra; negli anni 50 alcuni esemplari in dotazione all’artiglieria italiana furono sottoposti al rialesaggio della canna: questa fu portata al calibro 105 mm., risultando lunga circa 22 calibri.
CANNONE contraereo Bofors da 40/50
ancora oggi (in versione aggiornata ed allungata a 70 calibri) in uso presso le principali marine mondiali come pezzo antiaereo ed antimissile

venerdì 20 maggio 2011

I Polacchi nel nostro cuore

FRANCISZEK SMUGLEWICZ  /1745-1807/ lunedì 23 maggio 2011, ore 18.30Istituto Polacco di Roma, Via Vittoria Colonna, 1 - Roma ingresso libero
Lunedì 23 maggio, ore 18.30 presso l'Istituto Polacco di Roma, si terrà la conferenza di Mikolaj Baliszewski (Biblioteca Nazionale, Varsavia) su Franciszek Smuglewicz (1745-1807), pittore polacco che ha reso immortali le pitture antiche a decorazione dei muri e delle volte del più famoso palazzo dell’antichità: la Domus Aurea.[info]

sabato 9 aprile 2011

Appunti sulla Storia del Corpo Italiano di Liberazione

Il Corpo Italiano di Liberazione: I Capi.

Ubaldo Del Monaco

Il presente contributo necessita di una breve premessa per delineare in modo chiaro ed esauriente il quadro storico di riferimento.
Dopo l’8 settembre, il vertice politico vede, ancora, quale Capo del Governo, il maresciallo Pietro Badoglio. Si avvicenderanno, invece, nella carica di Ministro della Guerra, il generale Antonio Sorice (fino al 15 febbraio 1944), il generale Taddeo Orlando (fino al 17 giugno del 1944) e l’onorevole Alessandro Cassati (fino al 20giugno 1945). Si avvertiva un “vuoto” generale di tutela e di sicurezza, nonché di un totale disorientamento fra le fila dell’esercito, ormai disintegrato sia sul piano organizzativo che morale (comandanti e soldati erano in balìa di se stessi, e cercarono di rientrare alle proprie famiglie).
Dai primi giorni successivi all’armistizio, pertanto, sia il Governo sia i vertici militari italiani, cercarono di convincere gli Alleati dell’opportunità di affiancare alle forze sbarcate in Italia i nuovi reparti italiani in via di costituzione. Gli Alleati, infatti, nutrivano ancora diffidenza e rancore verso gli ex nemici. Non erano pertanto, favorevoli alla collaborazione con le forze militari italiane, per due ordini di ragioni: una di natura politica, perché un’eventuale partecipazione militare sul campo di battaglia avrebbe potuto dare adito a richieste di revisione e di alleggerimento delle clausole stabilite dall’armistizio; l’altra di natura pregiudiziale, legata strettamente alla riserva mentale sull’efficienza e sull’affidabilità delle “nostre truppe” in guerra.Toccava perciò al soldato italiano rimuovere quello scetticismo, affermare il suo effettivo impegno in battaglia, e dimostrare di essere ancora in grado di battersi per un ideale.
L’invito fu infine raccolto e la prova del fuoco giunse poco dopo su Monte Marrone. La sorpresa del Comando Alleato fu pari all’ammirazione. Fioccarono gli elogi e fu il definitivo convincimento per ammettere gli italiani al rango di “cobelligeranti”. Tale successo fu reso possibile anche grazie al carisma di un comandante, il generale Umberto Utili. Egli fu determinante per la riorganizzazione del I Raggruppamento, del quale assunse il comando alla fine del gennaio 1944, ma, soprattutto, per la costituzione, nel successivo mese di marzo, del Corpo Italiano di Liberazione.
Questo elaborato, che si pone l’obiettivo di “passare in rassegna”  i capi militari italiani che si distinsero nei momenti tormentosi conseguenti all’armistizio, non poteva, pertanto, che riservare al generale Utili, una posizione di primissimo piano. Tale considerazione non è frutto di patriottismo, ma delle eccellenti qualità umane e professionali unanimemente riconosciutegli.
Come diceva di lui il generale Antonio Ricchezza, capo ufficio operazioni del C.I.L. e suo stretto collaboratore: <<…Il generale Utili, un uomo assolutamente invulnerabile alle atmosfere depresse, prese in mano le truppe, si dette da fare perché ogni giorno ci fosse un po’più di luce che nel precedente…era l’uomo più adatto a farlo in tutto l’Esercito italiano di allora…>>. Utili era un uomo dalla tempra forte e dal carattere non arrendevole, capace di trasmettere sentimenti alti ai suoi collaboratori. Seppe infondere fiducia e galvanizzare tutti per la nuova impresa che avrebbe onorato le armi italiane.
Il generale, nell’assumere il comando, si rivolse così ai suoi commilitoni: <<…Sono fiero di essere stato destinato a comandarvi…voi avete dato l’esempio generoso ed avete versato il vostro sangue, che è sempre qualcosa di più prezioso delle chiacchiere…Ragazzi in piedi, perché questa è l’Aurora di un giorno migliore…>>. Egli possedeva un intimo senso del dovere e spiccava nel sapersi assumere le sue responsabilità. Erano innati in lui i sani principi dell’onore militare, della disciplina e dello spirito di sacrificio. <<Il generale Utili - come scriveva il generale Paolo Berardi (Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ) - superava per intelligenza, fantasia e volontà la media dei nostri generali. Sapeva di valere, era ipercritico, si prendeva libertà molto spinte di apprezzamenti, e non era “inferiore comodo…>>. L’espressione “eufemistica” del superiore sottolinea l’abitudine del generale a rispondere in modo tranciante agli ordini che non lo persuadevano. Direi che è raro imbattersi in una personalità con il coraggio di dire la sua in un contesto molto poco libero, come quello dell’epoca allo studio. Era un uomo che si reggeva da sé, che si faceva ben volere dai dipendenti, che sapeva imporsi con dignità anche agli Alleati1. Monte Marrone, doveva essere l’emblema della riscossa italiana.
Il generale Utili si avvalse di questo simbolo con la perspicacia e l’intuito tipici dei grandi comandanti. Egli seppe attribuire un grande valore morale a quel fatto d’arme, le cui truppe protagoniste, così valorosamente distintesi, erano in parte ancora ai suoi ordini. Questo degno soldato italiano aveva solo 48 anni, ma un’esperienza incomparabile in combattimento. Era, infatti, insignito di tre medaglie d’argento al valore militare, guadagnate sui fronti dell’Africa orientale, della Grecia e della Russia. L’atteggiamento di “inferiore non di comodo” gli era praticamente costato la carriera: nel 1934 era stato espulso dallo Stato Maggiore, per certe sue critiche sull’avanzamento degli ufficiali.
Questo era Utili: uomo e generale, che per quanto autonomo ed imprevedibile, sentì sempre sul collo le ultime parole rivolte dal Capo di Stato Maggiore Generale Messe ai soldati italiani: <<…Vi affido ad un uomo che sarà avaro del vostro sangue; certo lo spenderà quando sarà necessario, ma mai invano e mai leggermente…>>.
Non meno prezioso, nella “Guerra di Liberazione”, fu il contributo fornito dal Battaglione “Piemonte” degli alpini, al comando del maggiore Alberto Briatore, il quale condusse con lucida strategia, fermezza e determinazione i suoi uomini alla vittoria. Grazie alla sua consumata esperienza di comando, aveva letteralmente rovesciato la situazione materiale e morale del “Piemonte”, portandolo ad un’impresa di guerra di montagna di assoluto valore. Mostrò così palese a tutti (Alleati compresi), la preparazione ed il vigore d’esecuzione del suo reparto in battaglia. Briatore sapeva esaltare il comportamento dei suoi uomini.
Mi piace ricordare, in questo contesto, il memorabile, vibrante elogio, segnalato con un ordine del giorno, inviato all’indomani della battaglia di Monte Marrone : <<…Infliggendo all’orgoglioso nemico una lezione durissima…non vi siete lasciati fiaccare dall’eccezionale sforzo fisico dei trasporti a spalla sul lungo e penoso percorso…ma avete organizzato e vigilato la posizione…>>.
La gloria ed il valore non mancarono neanche a Filottrano, dove il 183° Reggimento  paracadutisti, articolato su due  battaglioni, il XV e il XVI , segnò un’altra epica pagina contro l’occupazione nazista.
L’azione confermò pienamente l’indiscusso valore e la netta ripresa dei  combattenti italiani, esaltando l’eroico comportamento dei paracadutisti, i cui risultati andarono al di là di qualsiasi aspettativa. Al comando del colonnello Giuseppe Quaroni, indiscusso leader carismatico, i parà inflissero al nemico, impaurito e sorpreso dall’inaspettata “apparizione”, perdite gravissime.
 Attento non solo alla preparazione ed alla formazione militare dei suoi “ragazzi”, ai quali era portato a rivolgersi con parole che scaldavano il cuore prima che la mente, il colonnello Quaroni seppe trasmettere a ciascuno il proprio coraggio ed il suo spirito garibaldino, con lo slancio e la tenacia che ne caratterizzavano la  forte personalità. Il suo Reparto, come tipico della tradizione alpina, seppe immedesimarsi alla personalità trainante del suo comandante, mostrando ancora quel valore che ha sempre distinto le nostre truppe di montagna, uomini abituati ad agire in condizioni estreme (in questo caso non solo per l’ambiente).
Questi comandanti, insieme ai soldati di ogni grado, che hanno sacrificato e rischiato la loro vita nella “Guerra di Liberazione”, ci hanno restituito “l’Aurora”, il nostro giorno migliore, donando al nostro Paese la dignità degli uomini liberi, quella libertà di cui , tutti noi godiamo da più di sessant’anni.
Per i comandanti di oggi, questi Ufficiali sono degli esempi di comportamento. Soldati che hanno saputo essere d’esempio in un clima di assoluto abbandono e di crollo improvviso dei valori nei quali si era creduto per lustri. Lo spirito d’iniziativa ed il coraggio sono caratteristiche necessarie dei militari.
Io ritengo che gli Uomini di cui ho parlato abbiano interpretato il loro dovere con dignità e valore. Quel dovere di fedeltà non alle Istituzioni formali, che non avevano retto all’urto dei tempi, ma a quel Popolo di cui erano figli, a quegli Italiani di cui sono giustamente divenuti un modello, nello spirito dell’Italia risorta.

venerdì 1 aprile 2011

Alexandra Javarone

Il Corpo Italiano di Liberazione: la nascita e l’assestamento.

Il 10 settembre ’43, il maresciallo Badoglio, allora capo del Governo, dopo aver confermato che erano stati trasmessi alle forze armate dipendenti gli ordini “per agire con vigore contro aggressioni tedesche”, indirizzava una missiva al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, al fine di mettere in rilievo la necessità che si provvedesse al coordinamento delle azioni da svolgere di concerto.
Il giorno seguente, il Comando Supremo, giunto a conoscenza delle aggressioni perpetrate dalle forze tedesche diede immediato ordine a tutte le forze armate italiane di considerare i tedeschi come dei nemici.
occorre ….. raggruppare le forze a nostra disposizione allo scopo di:
opporsi innanzitutto all’eventuale espansione delle forze avversarie;
-procedere quindi in cooperazione con le forze anglo-americane all’azione offensiva per la liberazione di tutto il territorio nazionale”.

Il Corpo Italiano di Liberazione (CIL) rappresentò una sorta di “continuazione” del I Raggruppamento Motorizzato Italiano. Il CIL, costituito  esclusivamente con armi e mezzi italiani, seppe distinguersi per “energia, volontà e valore” meritando, infine, anche il plauso dei comandi alleati,  nonostante le immense difficoltà incontrate durante le azioni intraprese dall’esercito italiano (appena ricostituito dopo la dichiarazione dell’armistizio dell’8 settembre).
Le forze armate costituirono un insieme eterogeneo, proveniente, in massima parte, da reparti reclutati nell’Italia meridionale, nelle isole o  all’estero, il più delle volte composto da individui sfuggiti alla deportazione messa in atto dalle truppe tedesche.
Insomma, gli Stati Maggiori dovettero affrontare una situazione assai complessa. Secondo le fonti l’esercito fu composto da : “ una massa la quale è buona e potrà fare bene, magari, benissimo, ma che – per ragioni d’ordine generale che è inutile analizzare- è ancora molto irrequieta, suscettibile di oscillazioni spirituali di depressioni subitanee e quindi costituisce uno strumento di guerra molto delicato, tanto più in mancanza di una severa opera repressiva contro coloro che cercano di sottrarsi all’adempimento dei propri doveri.
Si tratta in sostanza, di una massa con la quale occorre agire con cautela, pur senza discostarsi da quell’energia necessaria quando il caso lo richiede; di truppa alla quale si deve andare incontro quanto più possibile senza indugiare, perché l’indugio può essere pericoloso”.
Ad ogni modo, gli Stati Maggiori dell’epoca seppero condurre con perizia e professionalità le operazioni militari , assolvendo, allo stesso modo,  pure all’alto compito “di risollevare lo spirito ed il morale delle truppe”. Anche l’inserimento del nuovo esercito italiano all’interno del comparto alleato richiese una seria mediazione. Nonostante le resistenze opposte dalla componente britannica, che avrebbe teso ad impiegare le forze italiane nei soli servizi di “bassa manovalanza nelle retrovie”, mortificando, nei fatti, lo slancio degli italiani i quali avrebbero voluto partecipare attivamente alla liberazione della propria Patria, gli Stati Maggiori riuscirono, infine, ad ottenere un aumento delle truppe.  
Il 23 novembre, il maresciallo Messe, in occasione della sua nomina a S.M. generale in sostituzione del Generale Ambrosio, ebbe un colloquio con il generale Joice, Capo della missione alleata di controllo, nel quale espresse il suo intendimento che le forze armate italiane dessero agli Anglo-americani una collaborazione attiva e completa nel campo operativo oltre che nelle retrovie”. 
Di fatto, negli intendimenti il CIL non avrebbe dovuto superare la forza dei 14.000 uomini. Tuttavia, grazie alla costante opera di convincimento esercitata da Messe e Berardi, il 26 maggio s’addivenne all’autorizzazione operata dalle forze anglo-americane ad aumentare il numero delle forze.
in seguito a tale provvedimento il CIL acquisì la fisionomia che il Comando Supremo e lo Stato Maggiore dell’esercito avevano progettato sin dai primi di aprile”.

Secondo le fonti, inizialmente, il Corpo Italiano di Liberazione costituì  un semplice “cambio di denominazione” del I Raggruppamento  Motorizzato, composto di 14000 unità. 
Il Corpo Italiano di Liberazione si componeva di un reggimento fanteria (il 68° con 1.800 uomini), un reggimento bersaglieri (il 4° su due distinti battaglioni XXIX e XXXIII con 1.250 uomini), un reggimento artiglieria (l’11° su tre gruppi con una forza di circa 600 uomini), un battaglione paracadutisti il CLXXXV su tre compagni (450 unità) e un battaglione alpini (ovvero il “Piemonte” che ebbe poi il compito di occupare Monte Marrone), un battaglione arditi (IX reparto d’assalto con una forza di 600 uomini), un’unità carabinieri, genio e Servizi. 

Fu solo grazie alle proposte avanzate dal Generale Utili che le Forze Alleate autorizzarono, anche sulla scorta dei successi riportati, il potenziamento delle truppe del CIL che portò gli effettivi del CIL ad un organico di circa 25000 uomini.  Si impose però a quel punto una riorganizzazione dell’intero organico considerando anche la successiva esigenza di disporre un riordino ed un’eventuale costituzione di comandi intermedi e raggruppamenti di forze   con responsabilità operativa diretta. Per la prima volta l’intera schiera delle unità Ialine si ritrovò unita in un unico settore sotto comando italiano. Il CIL venne così organizzato prevedendo due Brigate (la prima costituita dal 4° reggimento bersaglieri, dal 3° reggimento alpini coi battaglioni Piemonte e Granero, dal 185° Reparto paracadutisti, dal 4° Gruppo Artiglieria someggiato; la seconda Brigata era, invece, costituita dal 68° Reggimento fanteria, dal IX Reparto d’assalto, da rgt. Marina S. Marco), una Divisione (Nembo che avrebbe mantenuto la propria costituzione iniziale su due reggimenti paracadutisti ed un reggimento artiglieria) ed un Comando Artiglieria (che inquadrava il glorioso 11° di Monte Lungo)
Il 1°giugno '44 il C.I.L. venne quindi organizzato su due Brigate, una Divisione ed un Comando artiglieria:
-        la I Brigata (Col. Fucci) era costituita dal 4° Rgt. bersaglieri, dal 3° Rgt. alpini, con i battaglioni "Piemonte" e "M. Granero", dal 185° Reparto paracadutisti, dal IV° Gruppo artiglieria someggiato;
-        la II Brigata (Col. Moggi) era costituita dal glorioso 68° Rgt. Fanteria, che combatté a Monte Lungo, dal IX Reparto d'assalto ( gli arditi di Boschetti), dal Rgt. Marina "San Marco" (battaglioni Marina "Bafile" e "Grado", dallo squadrone volontari "Guide", dal V Gruppo artiglieria someggiato;
-        la Divisione "Nembo"” (Gen.Morigi). sbarcata dalla Sardegna su due Reggimenti paracadutisti (183° e 18°) ed un Reggimento artiglieria; il Comando di artiglieria (Gen. Moro) che inquadrava prevalentemente il glorioso 11° di Monte Lungo.
(ad eccezion  fatta per qualche variazione organica di poco conto, il CIL mantenne tale ordinamento fino al ripiegamento dal fronte e al suo definitivo scioglimento).
   
 Il 2 giugno, infine, durante un colloquio fra il nostro Capo di Stato Maggiore dell’esercito con il comandante del V Corpo d’armata britannico, fu concordato che “venisse costituita, nel territorio del V Corpo, una Delegazione dello Stato Maggiore italiano allo scopo di dirimere, mediante intese dirette fra gli enti interessati, gli eventuali inconvenienti e rappresentare nel contempo un organo regolatore e coordinatore delle attività disciplinari, logistiche ed amministrative delle unità del CIL, a capo di tale Delegazione venne posto, in data 4 giugno, il generale De Stefanis, già comandante del LI corpo d’armata”.